Per quanto ci vengano presentati quali luoghi ameni, quasi di villeggiatura, le case di riposo costituiscono per coloro che ci finiscono una sorta di anticamera della morte. Chi vi entra sa bene che ne uscirà disteso per essere condotto al cimitero e questa è la ragione per la quale ognuno di noi, in cuor suo, teme di varcare un dì quella tetra soglia. A questo inevitabile destino non intendeva in alcun modo piegarsi o arrendersi Giuseppe Carluccio, novantunenne di origini pugliesi migrato di recente in Lombardia, in Lomellina, dove risiede la figlia. Il signor Giuseppe studiava probabilmente da tempo la maniera migliore, ovvero più efficace, per evadere dall’ospizio, la fondazione Galtrucco di Robbio (Pavia), in cui dalla metà di settembre dello scorso anno era ospite, dapprima insieme con la moglie, purtroppo venuta a mancare da qualche mese. Perdita che ha reso la permanenza in quel luogo ancora più penosa, nonostante la famiglia dell’affabile pensionato non lo avesse affatto abbandonato, a quanto si apprende.
Il piano di fuga, architettato nei minimi dettagli, è stato messo in pratica nel primo pomeriggio di lunedì scorso, proprio perché l’anziano, lucidissimo come un giovanotto se non di più, era al corrente che a quell’ora gli operatori della struttura sarebbero stati impegnati nel cambio di turno e non si sarebbero accorti che il vispo vecchietto se la sarebbe data a gambe levate. Nessuno immagina dove l’uomo avesse intenzione di recarsi. E se ne potrebbero compiere di congetture, tutte quante valide. Forse che Giuseppe voleva raggiungere figlia e nipoti? Forse che il suo obiettivo era fare ritorno nella sua amata terra natale, dalla quale era stato estirpato come un albero, dunque rivedere il mare, gli ulivi, le case bianche, il sole infuocato inghiottito dall’orizzonte azzurro? Forse che, preso dalla nostalgia della consorte, desiderava nient’altro che farle visita sulla di lei tomba recando un mazzo di fiori? O forse che, semplicemente, Giuseppe aspirava a godersi l’ultimo sorso di libertà, quella cosa per cui – diciamocelo francamente – l’esistenza vale la pena di viverla dall’inizio alla fine, quindi andarsene a zonzo, senza controlli, senza divieti né limiti, senza nessuno che lo trattasse da inetto?
Questo segreto Giuseppe Carluccio, classe 1929, se lo è portato all’altro mondo poiché proprio in quel guizzo di vita egli è incappato fatalmente nella morte. La libertà era lì, a un passo, se soltanto avesse allungato la mano, avrebbe addirittura potuto sfiorarla, accarezzarla, se non afferrarla. Non si sentiva così vivo da anni, se non persino lustri, o decenni, Giuseppe, il cuore gli batteva forte forte nel petto, tremava per l’emozione, l’adrenalina gli scorreva nelle vene rendendolo paonazzo in volto. Sì, stava accadendo un prodigio: l’anziano stava tornando ad essere giovane. Poiché è l’audacia che ci rende tali, unita alla brama di vivere.
Si era procurato un tubo di gomma. E non domandateci dove diavolo lo abbia pescato un tubo di gomma in una casa di riposo. Fatto sta che, tenendosi aggrappato a quell’aggeggio, Giuseppe ha iniziato a calarsi dalla finestra del primo piano, come un detenuto si calerebbe dalla sua cella servendosi delle lenzuola. Penserete: “Il primo piano, suvvia, cosa vuoi che sia!?”. E invece no. Per un individuo quasi centenario il primo piano equivale a un quinto o un sesto o un decimo piano.
Eccolo lì Giuseppe, appeso al tubo, appeso alla vita, appeso alla morte. Eppure cos’è quel sorriso?! Perché sorride Giuseppe Carluccio, pure adesso che può facilmente prevedere, certo che sì, che cadendo giù ora, ora che appena due metri lo dividono dal suolo, indi da tutto ciò che con ansia lo aspetta, potrebbe spezzarsi il collo? Forse perché non importa come si muore bensì come si vive. E Giuseppe ora sta vivendo. Prima no. E in questo preciso istante si lancia, quasi illudendosi di volare, di planare sull’erba, di scivolare su qualcosa di accogliente, soffice, morbido, o di essere un ragazzo che ne riporterà sì e no qualche livido, al massimo.
Poi il crollo, l’impatto con il terreno duro come cemento, che gli ha causato un ematoma interno e anche la frattura del bacino. Dio solo sa che dolore! Tuttavia, Giuseppe, a chi lo ha soccorso, continuava a chiedere scusa, come un bimbo che fa la marachella e sorpreso teme la punizione. Nessuna passeggiata nei dintorni, nessun ritorno alla terra madre per campare in una piccola casa magari in compagnia di un bel gatto, nessuna avventura. La libertà è durata un attimo, proprio come la vita.
Giuseppe è stato trasportato di corsa, in codice rosso, al pronto soccorso dell’ospedale civile di Vigevano, dove quella stessa notte si è spento. E giurano che, nonostante la sofferenza, avesse sul viso un beato sorriso. Non abbiamo motivo di non crederci.