Ebbene sì, dopo anni di lavoro ininterrotto, mi sono concessa cinque giorni di vacanza al di là dei confini nazionali. Si è trattato di un atto di estremo coraggio in questo periodo di limitazioni, divieti e obblighi incostituzionali, come quello che prevede la possibilità per il cittadino di ottenere, come se si trattasse di un favore, l’esercizio del suo fondamentale diritto di movimento a condizione che sia vaccinato o munito di un test del tampone recentissimo il quale attesti che egli non sia un appestato in ottima salute, insomma sotto mentite spoglie.
Quindi, a mie spese, ovviamente, mi sono fatta tamponare, come si usa dire. Tale operazione per me costituisce una tortura, eppure sono costretta a sottopormi ad essa per godere dei miei inalienabili e non sopprimibili diritti costituzionali nonché umani. Vi risparmio i particolari sulle code infinite venutesi a creare in aeroporto, sia in Italia che in Spagna, a causa di queste misure. Arrivata a Ibiza ho dovuto comunicare dove avrei alloggiato, perché i miei spostamenti potessero essere tracciabili. E vabbè.
Le Baleari sì, bellissime, ma l’atmosfera è spenta. Si sente nell’aria come qualcosa di angosciante e la gente, ovunque, non fa altro che ciarlare di coronavirus, contagi in risalita, “e chissà se ci chiudono ancora”, e roba simile. Se per un attimo ti scordi la pandemia (di asintomatici), ecco che in spiaggia ti appare l’idiota che indossa la mascherina persino mentre fa il bagno da solo nel raggio di 200 metri. E devono essere state pure queste visioni bizzarre a farmi sorgere la prima notte, improvvisamente, una paura: e se prima di partire il mio tampone risultasse positivo e restassi bloccata qui, a Formentera…? Ho vissuto questi giorni che avrebbero dovuto essere di relax con questo timore, condiviso pure da mia sorella.
Rimanere bloccati su un’isola paradisiaca in piena estate a molti potrebbe risultare fantastico, una vera e propria fortuna, ma per me sarebbe una tragedia, e non soltanto perché in questo caso avrei dovuto starmene sigillata in albergo, controllata dalle autorità del posto come fossi una criminale, bensì soprattutto perché io sono troppo legata all’Italia e alla mia casa.
Cosa ci posso fare? Non riesco a distaccarmene oltre i 4-5 giorni al massimo. Ad ogni modo, pericolo scampato: test negativo, e sono di nuovo qui, nella mia bella e amata Milano. E scrivo questo articolo comoda comoda sul mio adorato letto. Dei viaggi amo più il ritorno della partenza. Quest’ultima è stressante, mille cose da fare, altre mille da non dimenticare. Il ritorno, invece, avviene quando ne ho già abbastanza della vacanza e non vedo l’ora di varcare la soglia del mio appartamento e respirare profumi familiari, ritrovando le mie cose.
Rammento che la mia gatta, Tara, ogni volta che rincasavamo dopo essere state dal veterinario, cominciava subito ad ispezionare ogni stanza, come se la scoprisse per la prima volta. Non capivo questo suo modo di fare. L’ho compreso solamente oggi, quando sono tornata da Formentera. Sono passata da una camera all’altra quasi per confortarmi e rassicurarmi di essere riuscita a tornare qui, dove mi sento tanto al sicuro. Certo, è la prima volta che rientro da qualche notte fuori e Tara non c’è. E non c’è neppure Donald, il micio che mi ha fatto compagnia per una ventina di giorni circa. Fino a poche ore prima della mia partenza è stato con me e non averlo più accanto stringe un pochino il cuore. Mi stava sempre attaccato, persino quando facevo la doccia stava davanti al vetro, impalato. Quanto sono simpatici i gatti!
Comunque sia essere a casa è stupendo. Penso sia un dono stare bene dove si è. La gente spesso è irrequieta, non riesce a rimanere ferma. Io invece ne ho bisogno. Blaise Pascal sosteneva: “Tutti i problemi dell’uomo provengono da non sapere stare fermo in una stanza”. E fermo non significa inattivo, tutt’altro. La civiltà è nata quando l’essere umano è passato dal nomadismo ad una condizione stanziale. Ed è lì che è sorta pure la scrittura e siamo passati così dalla preistoria alla storia. Un motivo ci sarà, o no?
A proposito di scrittura, da settimane i miei articoli non compaiono più su Libero, sebbene io abbia un contratto e seguiti ogni giorno, anche durante il soggiorno in Spagna, a presentare le mie proposte, puntualmente rigettate. Tutto questo mi sta logorando e anche perciò ho deciso di allontanarmi per un pochino, eppure ho continuato a pensare a questa situazione e al male che mi provoca. A volte vengo assalita da un dubbio: e se non trovandomi più sul giornale i lettori si scordassero di me? Si fa così presto, in fondo, a dimenticare.
Io ci sono sempre. Anzi, mi faccio ancora più vicina. Eccomi qui. Con voi.