I nostri nonni erano più dotati. E non solo di nobili virtù. Secondo una ricerca pubblicata sul Telegraph nel gennaio del 2015, l’organo maschile è sempre più corto, cioè le sue dimensioni sarebbero diminuite di due centimetri rispetto a sessant’anni fa, a causa della diffusione di malattie croniche, dell’assunzione di estrogeni presenti negli alimenti, in particolare nella carne rossa, del prolungamento della vita media e della diffusione dell’obesità.

Anche l’endocrinologo Carlo Foresta, direttore del Servizio per la patologia della riproduzione umana dell’Università di Padova, in uno studio del 2013 sulle caratteristiche antropometriche aveva evidenziato alcune anomalie: le dimensioni medie del pene si attestavano intorno a 8,9 centimetri, rispetto ai 9 del 2001 e ai 9,7 del 1948. Insomma, continuando così, nel giro di qualche secolo il pene potrà osservarsi solo al microscopio.

Le ricerche del professore sono andate avanti in questi anni, mettendo in luce di recente un altro interessante aspetto che Foresta ha svelato a noi di Libero: c’è qualcosa che interferisce nella produzione degli ormoni maschili in fase embrionale, determinando un accorciamento non solo della lunghezza del pene, ma anche della distanza ano-genitale, sempre più corta come quella delle donne. Secondo il professore, questa è la prova inconfutabile della minore attività androgenica in fase embrionale.

“È l’ambiente saturo di sostanze chimiche, che agiscono come distruttori endocrini, ad alterare l’equilibrio ormonale dell’embrione maschio, condizionato dalle sostanze che la madre respira e mangia. Questo giustificherebbe il motivo per cui i giovani producono meno spermatozoi”, spiega Foresta. Insomma, l’uomo di oggi ha un potenziale di fertilità sempre più ridotto. Ci avviamo forse verso l’estinzione? Il professore ci rassicura sottolineando che la natura trova sempre una strada per fare sopravvivere la specie.

Del resto, lo fa persino la medicina: essa offre quasi sempre una soluzione. Ecco che a sopperire alle deficienze del pene (purtroppo non a quelle del cervello) ci pensa la chirurgia plastica. Sono sempre più numerosi anche in Italia gli uomini che ricorrono alla falloplastica per modificare ciò che custodiscono sotto il basso ventre e che quasi mai corrisponde alle loro aspettative. In poche parole, i maschi oggi si rifanno il pene. Ma il dato più inquietante è che essi richiedono tali operazioni anche quando non sarebbero affatto necessarie.

Le falloplastiche di ingrandimento o di allungamento del pene sono interventi di chirurgia plastica indicati soprattutto per coloro che hanno realmente un micropene. Tuttavia, oggi tanti uomini con un pene normale decidono di operarsi.

“Il disturbo accusato dal paziente si chiama “dismorfopenofobia”, che è la non accettazione delle dimensioni del proprio organo sessuale. Di solito chi viene da me convive con questo problema da molti anni. Ho pazienti di 20, 30, 40 anni, ma anche di oltre 70. Questi ultimi non hanno mai avuto il coraggio di parlare di questo disagio, ma ora non è più un tabù”, ci spiega Riccardo Vaccari, specialista in andrologia, urologia e chirurgia, che ha già operato in Italia centinaia di uomini, consentendo loro di vivere la loro sessualità con serenità e di recuperare sicurezza in loro stessi.

Vaccari, che si rifiuta di operare i numerosi uomini dotati di un macropene che si rivolgono a lui per aumentare ulteriormente le dimensioni del proprio membro, sottolinea che sono spesso le donne, con cattiveria, ad insinuare negli uomini la convinzione di avere un pene troppo piccolo. “Ecco perché io faccio parlare il mio paziente con uno psicosessuologo prima di un eventuale intervento, affinché io abbia la garanzia che non si tratti di un colpo di testa, magari conseguente alla fine di una relazione”, continua il chirurgo.

Se le donne quando subiscono una delusione d’amore, tagliano i capelli; gli uomini, invece, allungano il pene. Ma entrambi i sessi sono comunque ossessionati dai centimetri: le donne ne vorrebbero almeno dieci in più sul petto; agli uomini ne basterebbero tre o quattro in più nei paesi bassi. Quelle mai accontentabili restiamo sempre noi!

Insomma, l’uomo occidentale è sempre più ossessionato dal sesso. Il suo. Mica quello altrui oppure opposto! Così tanto che ci sorge persino un dubbio: egli avrà forse sviluppato una sorta di mania? Esiste una patologia molto diffusa nei Paesi orientali, in particolare in Cina, Malesia, Indonesia, India, Nepal e Thailandia, ossia la sindrome della retrazione genitale (GRS, o sindrome di “Koro”, termine che in malese significa “testa di tartaruga”), per cui coloro che ne soffrono sono assaliti dalla paura incontrollabile che i loro genitali siano più piccoli di come sono nella realtà e che si stiano riducendo progressivamente fino a scomparire.

Tale ansia, diffusa anche in alcune zone dell’Africa, in certi casi è degenerata in una vera e propria isteria di massa, accompagnata da omicidi di persone che soffrivano di questa sindrome perché ritenute possedute da spiriti maligni o contagiose. Alcuni ricercatori hanno notato che la sindrome della retrazione genitale si diffonde ogni volta che si verificano disastri naturali di grande portata o tensioni sociali e che ad esserne più colpiti sono gli uomini giovani, single, poco istruiti e molto religiosi.

Ma, mentre l’uomo africano o orientale ricorre ad assurdi rituali esoterici e a pozioni magiche, ricavate da erbe e da peni di animali quali tigri o cervi, per esorcizzare i demoni che minacciano il suo gingillo; l’uomo occidentale, abbandonati rudimenti che si sono rivelati effimeri, come collari, corde, pillole, esercizi di stretching per il fallo, corre dal chirurgo plastico per gonfiare e allungare ciò che la natura gli ha dato e che minaccia di portargli via.

Bei tempi andati! Una volta c’era più pene e c’erano anche più gioie. I nostri nonni, che secondo diversi studiosi erano più dotati, di sicuro erano più felici, ma non per le dimensioni del proprio organo sessuale, bensì perché non passavano il loro prezioso tempo con il righello in mano nel tentativo di verificarne le misure con l’angoscia di perdere da un momento all’altro la loro virilità, che non risiede di sicuro nelle mutande. Che fossero più dotati o meno, essi erano veri uomini.

Non si depilavano, non andavano dall’estetista, non passavano i pomeriggi in palestra, non usavano lo smalto, non facevano assurde diete proteiche, non passavano ore davanti allo specchio, insomma non cercavano a tutti i costi di assomigliare alle donne. Ma soprattutto non avevano paura delle relazioni e sapevano come corteggiare e rendere felice una donna, consapevoli del fatto che le uniche dimensioni che contano e che danno piacere non sono quelle del pene, bensì quelle del cuore e del cervello. Che spesso scarseggiano. Forse il primo passo per essere veri uomini sarebbe quello di smetterla di fare le donne e di lasciare l’uccello in santa pace.

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