Assurdo ma vero. Quando si tratta di giustificare gli amici, si è disposti persino a negare l’evidenza o a descrivere una aggressione ingiustificata come una reazione in fondo non grave, addirittura normale. Del resto, come ha spiegato sulle pagine del Fatto Quotidiano di ieri il giornalista Massimo Fini, “Grillo reagisce alla Grillo”, dunque “cerca di strappare il cellulare allo scorretto intervistatore, lo spinge e lo manda a ruzzolar giù per le terre”. In realtà, lo manda in ospedale, lo specifichiamo per dovere di cronaca.

Il titolo del pezzo è da incorniciare: “Va bene il diritto di cronaca, non quello di maleducazione”. E già questo la dice lunga sull’intento di chi scrive: spacciare una violenza gratuita per una legittima difesa contro la maleducazione imperante, soprattutto quella di certi cronisti, che hanno questo brutto vizio qui, insopportabile, quello di fare il loro mestiere. E di farlo pure in modo “scorretto”, aggettivo adoperato da Massimo, ossia incalzando con le domande il personaggio pubblico che hanno davanti.

Bene, anzi male. Se Grillo fa Grillo, il giornalista fa il giornalista, dunque è gli è richiesto di essere inopportuno, irriverente, persino invadente se è il caso. Fini, penna navigata, tuttavia, ritiene – e lo puntualizza, prendano appunti gli aspiranti giornalisti – che Francesco Selvi, vittima della furia del comico, avrebbe dovuto per buona educazione inviare magari una lettera a quest’ultimo. “Io rimpiango i tempi in cui per incontrare una persona bisognava fargli avere prima il proprio biglietto da visita, come fece Nietzsche con Wagner e dando così inizio alla più feconda amicizia che il solitario filosofo tedesco abbia avuto. Del resto allora funzionava così. Per tutti”.

Dunque Selvi avrebbe dovuto corteggiare Beppe, prima fargli recapitare il biglietto da visita, poi magari regalargli dei fiori, o magari dei cioccolatini. Caro Fini, Selvi non aveva intenzione di instaurare un’amicizia con il comico, mirava a mettere insieme un servizio, cosa lecita, senza finire abbracciati in spiaggia ad ammirare il tramonto divorando tarallucci e bevendo vino.

Spettacolari le capriole a cui stiamo assistendo in questi giorni, messe in atto allo scopo di difendere gli indifendibili. La congolese che ha assalito il leader della Lega ha ricevuto solidarietà, nel mentre Matteo Salvini veniva additato quale responsabile del terribile omicidio del ventunenne Willy Monteiro. Fini è la ciliegina sulla torta di questo squallido show dell’ipocrisia: si impegna e si ingegna in una apologia di Grillo che fa acqua da tutti i pori. Il risultato? Una figuraccia. Pure perché nel vano tentativo di mondare Beppone, Fini butta nel calderone chiunque. Silvio Berlusconi, Daniela Santanchè, chiamata “Madama, un’altra del giro”, Alessandro Sallusti, il quale – azzarda Fini – “deve essere diventato bipolare”, poiché si è permesso di osservare in tv: “Possibile che a oltre un anno dai fatti ancora la magistratura non abbia deciso se il figlio di Grillo ha violentato o no una giovane ragazza finita nel suo letto?”. Già, sono quelle domande scomode che Fini etichetta come “maleducate” e che un giornalista degno di questo ruolo deve rivolgere.

Del resto, il possedere codesto coraggio segna la differenza tra chi brilla in questo settore e chi invece, pur avendo un pallido talento, non brilla.

Nello sforzo maldestro di scagionare ed esaltare il garante del Movimento quale persona tutto sommato civile che non accetta l’ineducazione, Fini finisce – mi si perdoni il gioco di parole – con il rendere ancora più vergognosa la condotta del comico. “Dunque Selvi si avvicina a Grillo e gli chiede un’intervista. Fin qui tutto lecito. Solo che Salvi contemporaneamente accende il cellulare. Da questo momento l’intervista è già cominciata e qualsiasi cosa dica o faccia Grillo fa già parte di un’intervista non autorizzata”, verga il giornalista del Fatto. Il reato di accensione del cellulare non lo conoscevamo. Avranno aggiornato in queste ore il codice penale, redatto ovviamente da Fini. Inoltre, nel momento in cui un soggetto non risponde alle domande che gli vengono poste non si realizza e non si configura l’intervista, poiché essa costituisce un processo di interazione tra due individui. Perciò, parlare di “intervista non autorizzata” è del tutto errato e fuorviante. Quello che è davvero scortese e cafonesco, saggio Fini, è giungere alle mani.

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