Nel giorno dell’anniversario dell’attacco alle Torri Gemelle, che ha sconvolto l’Occidente intero, ossia l’11 settembre, il gruppo terroristico di Al Qaeda ha lanciato una nuova esplicita minaccia, diretta stavolta al settimanale francese Charlie Hebdo. “Se ripeti il crimine, noi ripeteremo la punizione”, hanno fatto sapere i terroristi alla redazione del giornale che ha ripubblicato le vignette su Maometto che furono all’origine dell’attentato del 7 gennaio 2015, a Parigi, quando un commando armato fece irruzione nella sede di Charlie Hebdo, massacrando 12 persone, altre 22 rimasero ferite. A dare la notizia del messaggio inquietante è stato il sito di monitoraggio dell’attività jihadista sul web Site.

Anche l’Isis ha pubblicato una dichiarazione per l’anniversario dell’11 settembre sul suo quotidiano Naba, sottolineando che anche l’Europa e non solo gli Usa rappresenta il nemico da annientare.

Non dobbiamo mai abbassare la guardia contro i terroristi islamici che si stanno riorganizzando per dare il via ad una nuova ondata di attentati in Europa. Tra il 2011 e il 2017 si sono recati in Siria e in Iraq al fine di combattere con le milizie del sedicente Stato islamico almeno 6 mila foreign fighters europei. Di questi molti sono morti sul campo, altri sono detenuti all’estero e tantissimi altri sono già tornati nei loro Paesi di origine essendo cittadini dell’UE, finendo spesso in galera.

Tra il 2019 e il 2020 ben 500 reclusi negli istituti di pena francesi per il reato di terrorismo e 100 detenuti per gli stessi motivi nelle carceri britanniche, avendo saldato il debito con la giustizia, sono stati rimessi in libertà trasformandosi in potenziali mine vaganti sul vecchio continente. Italia inclusa.

Erano foreign fighters, ad esempio, i due fratelli franco-algerini Said e Chérif Kouachi, responsabili dell’attacco terroristico alla sede del giornale satirico Charlie Hebdo a Parigi il 7 gennaio del 2015 (12 morti e 22 feriti). Nel 2008 Chérif, nato nel 1982, era stato arrestato per terrorismo e condannato a tre anni di reclusione in quanto membro del gruppo terroristico di Abu Musab al-Zarqawi, che reclutava estremisti islamici da inviare in Iraq.

Pure il Bel Paese ha i suoi foreign fighters, ossia cittadini che si sono recati in Siria per combattere e che sono considerati affiliati all’Isis. Nel 2016 (dati dal primo gennaio al 31 luglio, fonte Viminale) quelli monitorati erano 110, nel 2017 125, di cui 22 rincasati. Il numero delle persone controllate perché sospettate di terrorismo cresce nel corso degli anni: nel 2016 erano 77.691; nel 2017, invece, 190.909. Gli estremisti arrestati nel 2016 sono stati 25; nel 2017, 29. Questi dati continuano a crescere, segno da un lato che la vigilanza è altissima, dall’altro che il rischio terrore è concreto.

Due ulteriori problematiche sono rappresentate dagli estremisti islamici che giungono in Italia clandestinamente, mimetizzati tra i migranti, e dai radicalizzati all’interno delle nostre prigioni. L’intelligence italiana ha relazionato più volte che a bordo dei barconi partiti dalle coste africane, mescolati tra i sedicenti profughi, potessero esserci pure terroristi. Tuttavia, questo allarme è stato se non ignorato almeno sottovalutato dagli esecutivi.

Efficace argine contro codesta minaccia era costituito dalla politica dei porti chiusi messa in atto da Matteo Salvini ed abbandonata immediatamente dal governo giallorosso.

Per quanto riguarda invece il proselitismo in carcere, non vi è dubbio che si tratti di una questione spinosa che deve essere affrontata per evitare che il sistema penitenziario nostrano fabbrichi gli assassini che ci ammazzeranno nel prossimo futuro. Gli istituti di pena costituiscono un ambiente idoneo per il reclutamento a causa della durezza delle condizioni di vita, dell’emarginazione sociale, della violenza psicologica e fisica che può esercitare il gruppo sul singolo individuo, della promiscuità inevitabile degli estremisti, dell’insoddisfazione nei confronti del sistema giuridico, dell’assenza di attività nonché della presenza di predicatori che si pongono come guide religiose. Anis Amri, tunisino che ai mercatini di Natale di Berlino il 19 dicembre del 2016 fece 12 morti e 56 feriti, si era radicalizzato nelle carceri della nostra penisola, dove era giunto come richiedente asilo spacciandosi per minorenne.

Insomma, può darsi che l’attentatore del futuro sia già in Italia, trasportato dalle navi delle Ong, o che sia in gattabuia e lì stia meditando su come farci saltare in aria una volta riacquistata la libertà. Che il problema non si risolva regalando la cittadinanza italiana è comprovato dal fatto che gli attentatori che hanno fatto più vittime erano cittadini degli Stati che hanno colpito, sebbene fossero figli di immigrati.

Infine, occorre sottolineare che la maggioranza dei migranti che arrivano qui provengono dalla Tunisia, Paese non afflitto da guerre e carestie, bensì con il più elevato numero di foreing fighters. Non mancano migranti dall’Algeria. E proprio un algerino, che si era nascosto in un casolare abbandonato nelle campagne di Acerra, nel napoletano, destinatario di un mandato di cattura emesso da un tribunale del suo Paese, è stato arrestato nel marzo del 2019 dagli agenti della Digos di Caserta. Nel 2014 l’uomo aveva lasciato la sua patria per raggiungere la Siria unendosi alle milizie dello Stato islamico.

Si stima che sono circa 1000 i combattenti tunisini rientrati a casa dalla Siria dal 2011 al 2018. Per sfuggire alla giustizia, molti tentano il viaggio in Italia. Nel gennaio del 2019 quindici cittadini tunisini sono stati arrestati in Sicilia poiché membri di una organizzazione che, in cambio di ingenti corrispettivi in denaro, favoriva il trasferimento di connazionali ricercati o condannati dalle coste africane a quelle trapanesi.

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