In poche ore, sabato scorso, è venuta giù la pioggia di sei mesi e nel Nord-Ovest non solo quella, ma anche tre ponti. Ordinaria amministrazione. Piemonte, Valle d’Aosta e Liguria sono regioni devastate: strade distrutte, abitazioni isolate, opere danneggiate, utenze senza corrente elettrica, frane, fiumi esondati, colate di fango ovunque. Lo scenario è apocalittico, i danni incalcolabili, soltanto in Liguria, secondo il governatore Giovanni Toti, ammonterebbero a 30 milioni di euro. Il Piemonte è messo persino peggio. A Limone, ad esempio, è crollata addirittura una palazzina, come fosse di carta. E siccome non ci facciamo mancare nulla, pure stavolta abbiamo contato i cadaveri.
Il governatore del Piemonte Alberto Cirio ha spiegato che, dato che la Regione quest’anno incasserà 200 milioni in meno di imposte, urge un intervento da parte del governo per risollevare la popolazione da questo cataclisma. Ma l’esecutivo giallorosso è in altre faccende affaccendato. L’emergenza, a giudizio della maggioranza, sta altrove ed è quella sanitaria, che rende indispensabili i banchi a rotelle, che ci sono costati miliardi e non sono ancora pervenuti in tutti gli istituti scolastici che ne hanno fatto richiesta, o i monopattini, che sfrecciano a tutta velocità tra le automobili determinando incidenti gravi e addirittura mortali. Da oltre un anno sentiamo blaterare di ambientalismo i giallorossi, i quali lodano l’attivista svedese Greta Thunberg e ne appoggiano gli scioperi del venerdì per il clima, sognano di eliminare la plastica dalla faccia del pianeta, salvo poi riempire le aule scolastiche di tonnellate di questo materiale che di “green” non ha un bel niente. L’ecologismo di M5s e Pd si esprime nelle parole e non ha riscontro nella pratica, in quanto nulla al mondo è più rispettoso dell’ecosistema della manutenzione delle infrastrutture, la quale risulta assente. Se i ponti si sbriciolano dopo un’oretta di precipitazioni intense la causa non è da ravvisare nei cambiamenti climatici, considerato peraltro che certi fenomeni avvengono da sempre, bensì nell’incuria dell’uomo nonché nella convinzione radicata in Italia che ponti e strade siano eterni, un po’ come il Colosseo o i Bronzi di Riace. Mentre in altri Paesi, dopo decenni di utilizzo, le strutture vengono abbattute e ricostruite, nello stivale le lasciamo in piedi finché non stramazzano al suolo da sole facendo decine di morti. Avviene ogni anno: il 22 ottobre del 2013, sempre in seguito ad un nubifragio, crollò un ponte a Carasco, in Liguria, facendo due vittime; neppure un mese dopo, in Sardegna, un’alluvione provocò il cedimento di un altro viadotto nonché la morte di un agente di polizia (tre suoi colleghi restarono feriti); il 7 luglio del 2014 venne giù un altro viadotto in provincia di Agrigento; il 25 dicembre dello stesso anno, sempre in Sicilia, si schiantò un viadotto inaugurato due giorni prima. Gli incidenti si susseguono: 10 aprile 2015 (crolla il pilone di un viadotto in Sicilia), 28 ottobre 2016 (si spacca un cavalcavia in provincia di Lecco, una vittima), 23 gennaio 2017 (si frantuma un ponte in Calabria), 9 marzo 2017 (cade un cavalcavia sull’A14, 2 morti), 18 aprile 2017 (crolla un viadotto in provincia di Cuneo). Fino ad arrivare alla tragedia del ponte Morandi di Genova, il 14 agosto del 2018: 43 morti e 566 sfollati. Il 24 novembre del 2019 cede un tratto dell’autostrada A6 in seguito ad una frana. L’8 aprile di quest’anno, in provincia di Massa Carrara, si è polverizzato un altro ponte lungo circa 300 metri. Se non fossimo stati in pieno lockdown, sarebbe potuta essere una strage.
Stando ad uno studio condotto da NPLUS Srl, in Italia, dove annoveriamo 1,5 milioni di ponti, il 52% ha oltre 40 anni, il 24% più di 58, risalendo alla grande ricostruzione post-bellica.
La domanda a questo punto sorge spontanea: non è che forse la responsabilità di questi episodi è nostra anziché del cielo e dell’acqua piovana?
Non cambierà nulla fino a quando le istituzioni non inizieranno a porre in cima all’agenda politica (e non soltanto a declamare tale intenzione) la necessità di investire sia nella manutenzione che nella sostituzione di opere ormai vecchie e pericolanti. Facile puntare il dito contro il surriscaldamento globale che, secondo i gretini, sarebbe all’origine delle violenti piogge le quali in verità ci affliggono da sempre. Se piove la colpa è del cambiamento climatico, se non piove altrettanto. Se nevica, idem. Se fa troppo caldo, a maggior ragione. Gli ambientalisti modaioli che diventano isterici allorché si mettono in discussione le loro teorie riconducono tutto all’inquinamento. Eppure la Natura è sia benigna che matrigna, addirittura persecutoria, così la descriveva il poeta Giacomo Leopardi in un’epoca in cui non si ciarlava ancora di “green new deal”, “scioglimento dei ghiacciai”, “effetto serra”, “buco nell’ozono”. Agli elementi atmosferici non si può sfuggire. Né si possono impedire. Tuttavia, attraverso una adeguata conservazione è possibile contenere i danneggiamenti e le perdite che codesti fenomeni producono, pure in termini di vite umane.