Il carnevale a Venezia è una cosa seria. Ed i veneziani lo attendono dal giorno stesso in cui finisce, per un anno intero. Con la stessa pazienza con cui Penelope tesseva la tela aspettando il ritorno a casa di Ulisse, essi cuciono il loro costume sognando il momento in cui potranno finalmente indossarlo e correre in strada.
In questi giorni a Venezia tutto è permesso e nulla è impossibile: puoi incontrare seduti intorno ad un tavolino di un bar di piazza San Marco l’uomo ragno, Batman e Zorro che conversano tra di loro bevendo un caffè, di certo confabulano su come salvare il mondo; tra gli stretti vicoli ti può capitare di incrociare Dracula in persona, con tanto di cilindro e mantello neri, che si inchinerà per porgerti un saluto – non ti conviene indugiare -, o un gruppo di dame in crinolina che passeggiano con un contegno aristocratico gettandoti addosso uno sguardo distratto. E se incontri il principe azzurro con tanto di cavallo bianco, ricordati che è carnevale. E che oggi si fanno gli scherzi, mica i miracoli, per questi ultimi ci toccherà andare in pellegrinaggio.
Ma ora che siamo qui tanto vale immergersi in questo clima magico ed elettrizzante, partecipando ad uno dei party più esclusivi della città a cui si recano facoltose persone provenienti da tutto il mondo nonché personalità di spicco nel panorama dell’imprenditoria veneta e nazionale: quello che si tiene ogni anno presso il prestigioso hotel Metropole, che si affaccia direttamente sul Canal Grande. Il tema della serata, organizzata dalla proprietaria dell’albergo, Gloria Beggiato, donna eclettica, collezionista ed esperta d’arte, è “Be fetish”.
Mi domando se non sia stata una scelta un po’ troppo azzardata da parte mia quando sull’elegante invito nero in cui campeggia un’orchidea rosso fuoco leggo: “Emozioni inattese in una notte all’insegna di trasgressione ed erotismo”. Ma, in fondo, il carnevale è per antonomasia la festa della metamorfosi e della dissolutezza, in cui si annullano gli obblighi, i ruoli, le gerarchie, le inibizioni, quindi perché temere un po’ di trasgressione a cinque stelle?
Non c’è tempo per tergiversare. Ho già lasciato la mia lussuosa suite color smeraldo con addosso il mio scintillante costume ed una maschera di pizzo nero, pronta a raggiungere al piano inferiore il salone delle feste e scoprire cosa accade in un autentico carnevale veneziano. Si aprono i pesanti tendoni di velluto porpora e davanti ai miei occhi si materializza un universo parallelo, sospeso nel tempo e nello spazio come una bolla di sapone, reso surreale dalle luci soffuse, dalle musiche sensuali, dagli arredi barocchi, dagli allestimenti dark e gothic, caratterizzati da teschi, pugnali, candele, lanterne, manichini e lucchetti, che concorrono a creare un’atmosfera lussuriosa e carica di mistero.
Gli ospiti, uomini e donne di ogni età, indossano tutti le loro maschere ed osservandoli sembra che non si siano mai sentiti tanto a loro agio come questa sera in cui possono essere tutto ciò che desiderano.
Mi fa sorridere un uomo vestito come Giacomo Casanova, con tanto di parrucca di boccoli bianchi, alle prese con il suo smartphone, così come vedere madame Pompadour che balla con un uomo strizzato in una tuta di pelle nera. Intorno a me dominatori che portano al guinzaglio i loro dominati, ragazze che indossano divise sexy da poliziotte, uomini con mantelli, camicioni con fiocchi, pantaloni corti.
Un vero e proprio caos che crea nel suo complesso una strana armonia. Gli invitati indugiano sui sontuosi buffet, disposti in tre stanze distinte, gustando i prelibati assaggi di ingredienti afrodisiaci, creati dallo chef del MET Restaurant, che ha conquistato una stella Michelin nonché il riconoscimento di un cappello sulla Guida Vini e Ristoranti d’Italia 2018 de l’Espresso. La stanza dei dolci si schiude come uno scrigno e proprio lì, in mezzo al tavolo, tra bignè, frutta esotica e cioccolatini, se ne sta distesa come fosse Messalina una fanciulla nuda. Un uomo che potrebbe essere Napoleone, non solo per il look, ma anche per l’altezza, cerca di farsi spazio tra la folla. Sembra schizzato fuori dal passato. Vuole raggiungere le prime file per godersi lo spettacolo: un esperto maestro mostrerà dal vivo l’arte erotica giapponese dello shibari, una tecnica di bondage che affonda le sue radici nell’epoca dei samurai e che prevede che un corpo svestito di donna sia costretto con alcune corde disposte in modo da formare geometrie e disegni. Gli amanti in sala si scambiano sguardi complici.
Sono tanti gli artisti che si esibiscono questa sera, passando da una sala all’altra, tra questi Elisa e Marco, una coppia di fidanzati che ha danzato senza mai smettere di baciarsi sulle labbra. È il trionfo dell’amore, declinato in tutte le sue forme ed espressioni, il godurioso party al Metropole. La volgarità è del tutto assente.
Si danza, si beve e si mangia fino a tarda notte. Sono le 10 del mattino quando torno nel salone per fare colazione. Sono nello stesso luogo in cui mi trovavo qualche ora prima eppure tutto è cambiato o svanito. Ora trionfano i colori pastello ed il bianco. Incuriosita chiedo ad una delle cameriere: “Questi signori ai tavoli sono gli stessi che ieri hanno partecipato alla festa?”. “Sì, perché? Ne riconosce qualcuno?”, mi risponde la donna con un sorriso.
Nel Settecento i nobili veneziani indossavano maschere per mescolarsi al volgo, per esplorare i sobborghi a loro proibiti per ceto e per questo irresistibili, dove regnavano insieme alla povertà anche il piacere ed il gioco, mi racconta un negoziante.
Ed io mi accorgo che travestirsi non è altro che un modo per spogliarsi delle pose, dei cliché, degli abiti da lavoro e delle etichette che tutti noi ci portiamo appiccicati addosso, rinunciando qualche volta alla parte più vera di noi stessi. Ed ecco che il carnevale, nella laguna dove si dice che nacque o che perlomeno lo ha consacrato, è l’occasione per tirare giù la maschera, mettendosi a nudo, senza correre il rischio di essere presi per folli. In fondo, esiste un unico modo per riportare l’ordine ed è: sovvertire tutto. Basta una notte.