di Fabrizio Maria Barbuto

Cos’è l’empatia verso il prossimo, un valore aggiunto o una terribile condanna? Le opinioni sono discordanti: se da una parte c’è chi esalta la propria capacità di immedesimazione nei dispiaceri altrui, dall’altra non manca chi si volge con rammarico alla sensibilità di cui la natura l’ha dotato, arrivando perfino ad invidiare coloro i quali, senza farsi troppi scrupoli, affrontano la vita con un po’ di sano individualismo.

E in effetti vale la pena indagare i vantaggi di un approccio esistenziale stoico; primo fra tutti, quello di immunizzarsi dal rischio di “fatica da compassione”: un disturbo che colpisce chi è portato ad assorbire gli stati d’animo altrui fino a farli propri. Le categorie maggiormente esposte alla minaccia sono medici, infermieri e psicologi: coloro che, per professione, sono chiamati a farsi carico delle tragedie del prossimo.

Questa sindrome è stata identificata per la prima volta nel 1970 e si rende responsabile di uno stato depressivo che getta il malato in preda ad uno sconforto del quale non è capace di venire a capo, senza un aiuto opportuno.

I numeri sono tutt’altro che rassicuranti: colpisce dal 7,3 al 40% di lavoratori in terapia intensiva e dal 25 al 70% di professionisti della salute mentale, ma a farne le spese, seppur in percentuale minore, sono anche categorie insospettabili: ufficiali di polizia, terapeuti familiari, avvocati penalisti, gente che si prende cura dei propri congiunti malati e, sorprendentemente, anche chi fruisce senza misura di notizie veicolate da giornali e tv senza operare quella che, in gergo, viene definita “dieta mediatica”.

I sintomi della patologia sono stanchezza mentale e fisica, abbassamento delle difese immunitarie, diminuzione della concentrazione, isolamento.

Insomma, proprio come afferma Adam Waytz – Professore presso la Northwestern University di Chicago che ha dedicato molto tempo all’approfondimento della questione -, “l’empatia è logorante” se non la si impara a gestire: un’immedesimazione smodata nel prossimo può rivelarsi depotenziante.

Angie Claire – Membro WIID, Mentore di vita ed esperta di Scienza Energetica – fa parte di un’organizzazione che si ripropone di sostenere, attraverso il training, le persone afflitte da questo disturbo.

In proposito, Claire ci spiega: “La fatica da compassione è una sindrome che colpisce le persone che si occupano degli altri, soprattutto se sono portate all’empatia. Si manifesta con sintomi quali ansia, calo della vitalità, stress, depressione e irritabilità. Lo spirito di immedesimazione è una caratteristica onorevole, ma se portato allo stremo dà luogo a un depauperamento energetico”.

“Perciò – continua Claire – l’organizzazione della quale faccio parte, offre corsi di training mirati a bilanciare qualità come l’empatia, affinché essa trovi il modo di accompagnarsi ad altre virtù, ad esempio l’amor proprio e la cura di sé, non solo dell’altro”.

Ben venga l’immedesimazione, “purché si acquisiscano gli strumenti per gestirla, così da non dovervi soccombere”, specifica l’esperto.

Possiamo dare agli altri solo ciò che abbiamo: se ci lasciamo deprivare delle energie, non abbiamo granché da offrire a coloro i quali ci ripromettiamo di fornire aiuto.

Fabrizio Maria Barbuto

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