Negli ultimi giorni la mia esistenza è stata sconvolta dal lutto più doloroso che abbia mai patito: ho perso la mia micia, Tara, con la quale condividevo indissolubilmente la vita da nove anni e sei mesi. Ma sono accaduti anche fatti straordinari. Uno di questi è la vicinanza e la comprensione che ho ricevuto da centinaia e centinaia, anzi direi migliaia di persone. Ciò mi ha indotta a capire che se fino a qualche anno fa la sofferenza per la morte del proprio animale domestico veniva nascosta, soffocata nell’animo per il timore di essere presi in giro, giudicati, derisi, ritenuti quasi pazzi, oggi di tale evento drammatico si parla liberamente.
Esso non costituisce più un tabù. Questo è indice di una evoluzione umana, civile e morale, di cui dobbiamo prendere atto con letizia. Del resto, quello italiano è, almeno in Europa, il popolo più animalista, quello che possiede più animali domestici e se ne prende cura con amore. In Italia cani, gatti e altre bestioline sono considerati alla stregua di componenti del nucleo familiare, affini, parenti. Per gli individui che abitano da soli, che sono circa nove milioni di cittadini del Bel Paese, micio o fido, quando vengono accolti in casa, diventano l’unica compagnia, presenza costante e fedele, fonte di gioia, amore, conforto. Tutto ciò non è irrilevante. Le bestie svolgono un ruolo umanitario nelle nostre vite, una funzione sociale. E, come dimostrano copiosi studi scientifici, esse ci arrecano benessere, ci guariscono in un certo senso, migliorano addirittura la nostra salute.
Essere travolta da valanghe di messaggi, quindi anche di storie personali, mi ha illuminata: quello che sto provando io lo hanno provato e lo stanno provando altri individui, che non mi giudicano, bensì mi sono vicini. È quasi un sacrilegio ammettere che ci ha straziato maggiormente la dipartita del nostro gatto rispetto a quella di un familiare, ossia che abbiamo incontrato più difficoltà nel superare tale evento, nell’elaborarlo. Tuttavia, succede a tanti. Ed i motivi sono abbastanza semplici: il rapporto che si instaura con un quattrozampe è di gran lunga più viscerale, intimo, simbiotico, profondo rispetto a quello che manteniamo con la zia, il cugino, il parente pure stretto ma che non vediamo mai e con il quale non è mai esistito un vero dialogo. I nostri cuccioli talvolta divengono addirittura una nostra appendice.
Questo era Tara per me. Così, allorché me ne distaccavo, soffrivo. Avevo abolito le vacanze per lei, poiché gli spostamenti la stressavano come la stressava la mia assenza, dunque stavo con lei. Al massimo la lasciavo per una notte o due. Non di più. E tutto il tempo non facevo che pensare a lei e non vedevo l’ora di correre ad abbracciarla, aprire la porta di casa e ritrovarla lì, ad aspettarmi, con il suo sguardo pieno di rimprovero e di tenerezza. Spesso qualcuno osservava che per me fosse un grande sacrificio non viaggiare per la gatta, aggiungendo che me ne sarei pentita in futuro. Ma l’unico pentimento che ora sento è il tempo che non ho trascorso con lei, rimpiango quelle poche notti in cui non siamo state insieme. Non ci si potrà mai mordere le dita per l’amore che si è dato.
Il trapasso del nostro amato pelosetto può – purtroppo avviene spesso – comportare un lacerante senso di colpa. Ci tormentiamo con le domande: ho compiuto abbastanza? Avrei potuto fare di più per salvarle la vita? Ho sbagliato in qualcosa? Avrei potuto accorgermi prima che non stava bene? L’ho forse trascurato?
Se il custode dell’animale ha dovuto inoltre scegliere per il suo cucciolotto l’eutanasia, al fine di porre termine alla sua agonia, il processo di auto-colpevolizzazione diventa diabolico. Questo è quello che mi sta accadendo in questi giorni. Sono stata io a decidere, su proposta del veterinario, che a Tara venisse iniettato il siero letale. È morta mentre l’accarezzavo e la baciavo. Era talmente debole e stanca che è spirata già con l’anestesia che anticipa la dose mortale. Quando sono giunta in clinica e l’ho trovata con la testa riversa sulla lettiera, del tutto abbandonata, ho compreso che stava per andare via, mi hanno comunicato che le restavano poche ore di vita, al massimo.
L’ho presa in braccio, non era mai stata tanto leggera, minuscola, era tornata piccina, come la notte prima l’avevo sognata. L’avevo sognata rimpicciolirsi, fino a trasformarsi in una neonata, era un po’ gatta e un po’ bambina. Avrei potuto portarla via e farla morire lentamente, ma che strazio sarebbe stato per entrambe! Avrei potuto ribellarmi alla Morte? No. Essa va accettata, poiché fa parte della Vita, di cui va abbracciato il bello e altresì il brutto. Stamattina ho intuito che il senso di colpa che proviamo è una maniera di tenerci legati al nostro amico animale, però una maniera sbagliata.
Ci avvinghiamo a quel dolore, invece di farlo scivolare. Ho capito anche che Tara mi attendeva, stremata, per salutarmi, da mesi combattevamo insieme contro la malattia. È volata via stando tra le mie braccia, per quanto questo mi abbia traumatizzata, io ho voluto essere presente e accompagnarla in questo passaggio che riguarda tutti gli esseri viventi. Se è capitato pure a voi, vi prego, abbandonate rimpianti e rimorsi, per concedere spazio soltanto a quell’amore vero, puro, incondizionato, privo di giudizio, incapace di tradimento, eterno che avete ricevuto e pure donato e che mai si estinguerà.