L’umanità è stata crudele con lo sciacallo, bestia che, sebbene sia molto simile al cane, non ne possiede la stessa molle docilità. Né può essere paragonato al lupo, considerato selvatico sì ma anche nobile. Nutrendosi esso di carcasse, nel linguaggio comune il termine “sciacallo” viene usato in senso denigratorio per indicare individui che godono delle difficoltà e del male altrui, da cui cercano di trarre vantaggio. Inoltre, con la parola “sciacallaggio” ci riferiamo al saccheggiamento della proprietà d’altri operato da soggetti senza scrupoli in occasione di catastrofi naturali.

Tale connotazione negativa è così impressa nella memoria collettiva che chiunque di noi immagina codesto animale come l’essere peggiore del creato. Oggi sappiamo che lo sciacallo dorato, diffuso nei vicini Balcani, ha colonizzato parte del Friuli Venezia Giulia. E su queste pagine ieri vi abbiamo raccontato della cattura, avvenuta intorno a Gorizia, del secondo esemplare di questa specie in Italia, Yama, liberato dopo essere stato munito di un radiocollare. Lo sciacallo è timido, non si lascia avvicinare da chi non conosce. Indro Montanelli narrò del suo incontro ravvicinato con un individuo adulto allorché si trovava in Etiopia. E quelle poche pagine costituiscono forse le più toccanti della sua intera produzione. Inevitabile per il lettore non solo restarne trafitto, ma altresì riflettere sulla superficialità con la quale troppo spesso gli uomini si approcciano e si rapportano ai quattro zampe.

Il giornalista non era contrario alla caccia, tuttavia non vi è dubbio che fu dopo essersi imbattuto nello sciacallo che egli maturò la convinzione che espresse alcuni decenni dopo, ossia che “il vero cacciatore ama gli animali a cui dà la caccia. Non spara, per esempio, sul bersaglio fermo, in quanto lo considera sleale”. Indro deve essersi portato dentro fino all’ultimo respiro il senso di colpa per avere fatto fuoco contro uno sciacallo mentre questi era fermo, inerme ed immobile. Una battuta infruttuosa della durata di due giorni, trascorsi nei meandri impenetrabili della foresta, stava per volgere al termine, era quasi il tramonto, quando il cronista e un suo amico, un certo Pericoli, rincasando a bordo di una jeep, videro sul ciglio della strada uno sciacallo. Pericoli, che era alla guida, accelerò e sollecitò subito Indro, il quale esitava, ad imbracciare la carabina e ammazzare l’animaletto, che, spaventato dal rombo del motore si era dato alla fuga. Poi inchiodò, per voltarsi indietro. E fu a quel punto che partì il colpo, che centrò in pieno la bestia, la quale tuttavia non morì.

Montanelli scese dalla macchina e si avvicinò. “Lo sciacallo, nel vedermi, si trasse penosamente in piedi, fece due passi a destra, poi due a sinistra, e infine tornò nella posizione di prima a sedere, come un cane in docile attesa, gli orecchi ritti, lo sguardo interrogativo. E quando ebbi fatto ancora qualche passo verso di lui, si sdraiò del tutto in terra, allungando il muso aguzzo tra le zampe, verso di me, come in attesa di una carezza”, scrive Indro. A quel punto, Pericoli lo incitò a finire la vittima. Montanelli tirò, ma il fucile non era stato ricaricato. Fu quasi un sollievo, anche se lo sciacallo continuava a fissare con lo sguardo pieno di domande colui che lo aveva trucidato. Il giornalista si piegò sulle gambe e pose una mano sulla testa dello sciacallo, il quale “subì la carezza socchiudendo gli occhi, ma più di voluttà che di paura, proprio come un cane. Anzi tirò fuori la lingua e tentò di leccarmi”. Intanto Pericoli metteva in guardia il giornalista: “Stia attento. Sono bestie traditore”.

Quella sera, terminata la cena, Indro se ne andò a letto, si girò e rigirò nel suo giaciglio con la speranza di prendere sonno. Invano. Nel cuore della notte udì alcuni rumori all’uscio, come se all’esterno vi fosse un animale che grattava la porta. Era lo sciacallo, sanguinante e quasi esanime. Si era trascinato fino a lì ed era come se chiedesse aiuto, guardando il bipede “con aria stupita ed interrogativa”. Accanto a lui se ne stava la cagnolina di casa.

“Trascorsero alcuni minuti che mi parvero secoli sotto lo sguardo di quelle due bestie carico non di rimprovero, ma solo di domande e di attese. Alla fine mi tolsi la mantella di dosso, la passai sotto il corpo dello sciacallo e lentamente lo strascicai nella stanza. C’era un buon tepore lì dentro, e l’aria era spessa di odori di cucina. Lo sciacallo volse il capo tutt’intorno, a guardare stupito il letto, le pareti, il tavolo, tutto ciò insomma che componeva la domesticità. Lo deposi su un cuscino di crine. Esso vi si dipanò sopra di fianco, a matassa, come un cane vero. Cercai del latte e glielo diedi in una ciotola. Non lo annusò neppure. Il suo muso scottava, ma aveva cessato di guardarmi. Anche la cagna aveva cessato di guardarmi, e si era sdraiata accanto a lui. Quando tornai a vederli due ore dopo, li trovai ambedue nella stessa posizione. Ma lo sciacallo non respirava più: era morto”, continua Montanelli. Il quale, all’alba, seppellì lo sciacallo in una fossa scavata con l’aiuto della cagnolina, che poi la ricoprì, spingendovi sopra la terra con il musetto.

Fu così che Indro scoprì quanto siano capaci di umanità i quadrupedi e quanto poco lo siano gli esseri umani.

Articolo pubblicato su Libero il 24 agosto del 2019

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