Ho sempre ammirato i giovani che possiedono il coraggio delle proprie idee (molte delle quali crescendo cambieranno) e le urlano in faccia, senza mandarle a dire. Per questo il figlio minorenne di Selvaggia Lucarelli meriterebbe una medaglia, poiché si è intrufolato in una manifestazione della Lega, si è avvicinato a Matteo Salvini e gli ha ripetuto più e più volte ciò che pensa di lui, quasi come se tentasse di provocarlo ad ogni costo. Nonostante tale lecito sospetto, a me piace questo adolescente.
Mi sarebbe piaciuto di più però se ad accompagnarlo non ci fosse stata la mammina, a sua volta scortata dal compagno, intenta a filmare tutta la scena con la speranza di cogliere Salvini in errore e potere stendere un articolo al vetriolo. A me questa scena ha suscitato un sentimento di pena profonda e non soltanto perché i protagonisti sembravano dei teneri sfigatelli ma pure perché il minore mi è apparso quasi come una sorta di esca.
Lucarelli è a corto di idee. I suoi articoli affrontano sempre le solite tematiche, non appassionano nessuno. L’odio che sparge da anni ha stufato. Per questo finisce alla manifestazione della Lega con tutta la famiglia e telecamera dello smartphone attivata con la speranza di cogliere un fallo. Non ricerca notizie, come fanno i bravi cronisti, tenta di appiccare il fuoco, ma non ce la fa. Proprio non ce la fa. Ella è a corto pure di vittime e ne cerca disperatamente di nuove. Qualche giorno fa ci ha provato anche con la sottoscritta.
Dal mio profilo di Twitter ha fotografato un post e lo ha pubblicato sulla sua pagina per scatenarmi contro le reazioni degli odiatori del web. È il metodo Lucarelli, che conosciamo tutti, lo stesso metodo che critica allorché viene adottato da altri. Il mio tweet diceva: “Si scrive smart working e si legge fancazzo”. Una battuta che denuncia una grande realtà: gli impiegati pubblici stanno intascando lo stipendio girandosi i pollici sul divano.
Il commento di Lucarelli riferito a me: “Disse quella che gli “articoli” per Libero li manda da casa”.
Vi invito a notare il dispregiativo “quella” nonché le virgolette di disprezzo poste al termine “articoli”, come se i miei pezzi non fossero degni di questo nome. I suoi invece sì, il che fa davvero tanto ridere. Selvaggia non fa giornalismo, fa gossip da quattro soldi.
Io non so da dove spedisca i suoi componimenti Lucarelli né mi interessa saperlo. Non so se lavora da casa o dal bar, dalla redazione o dalla piscina. E chi se ne frega? Però alla signora interessa ciò che faccio io, tanto che si è disturbata a chiamare i miei colleghi di Libero al fine di ottenere informazioni sulla mia persona, come ha spiegato lei stessa quando un utente le ha domandato chi fosse la sua fonte. “La redazione di Libero”, ha risposto solerte Selvaggia.
Bene. Vedo che sia Selvaggia sia il soggetto che le avrebbe passato le informazioni sul mio conto, peraltro private, non hanno nulla da fare, di cui occuparsi, a cui pensare (che esistenze infelici!), tanto che discettano nel pomeriggio di Azzurra Barbuto, di come trascorre le sue giornate: a casa o in ufficio?
Intanto Azzurra scrive e scrive e scrive e scrive e prosegue dritta, serena e risoluta sulla sua strada e non ha il tempo dunque di prendere il telefono per domandare a Tizio o a Caio se Lucarelli si è fatta il bidet stamattina ed è andata in bagno.
Povera umanità!