Ricorderemo il 2020 non soltanto come l’anno della pandemia, da cui ancora non siamo venuti fuori, dei diritti fondamentali repressi in nome della tutela della Salute, dei canti sul balcone, delle conferenza notturne di Giuseppe Conte, della quarantena, dei tamponi, del coprifuoco, dell’autocertificazione e dello smart-working. Quello che ci siamo lasciati alle spalle è pure l’anno dell’affermazione nel settore della moda del cosiddetto “gender neutral”, o anche “genderless”, ovvero uno stile adatto sia a lui che a lei poiché neutro e tendente ad appiattire e annullare i generi. Si tratta della evoluzione del capo “unisex”, indumento versatile che poteva essere portato da maschi e femmine senza privare né i primi di mascolinità né le seconde di femminilità, semmai esaltando, per contrasto, le peculiarità di ciascun sesso. Lo stile gender si pone ora un ambizioso quanto preciso obiettivo, quello di annientare del tutto la distinzione tra uomo e donna, anzi addirittura gli stereotipi di genere, attraverso l’introduzione della gonna a balze e delle calze a rete nel guardaroba del maschio, agevolando – così dichiarano gli esperti – la libertà di espressione della persona, la cui identità non dovrebbe essere vincolata all’attrezzo con il quale viene al mondo e che si trova sotto l’ombelico.

Dunque, si può essere contemporaneamente maschio e femmina, ovvero di genere neutro, e scegliere ogni dì di che sesso essere in base magari all’umore del momento. Insomma, proprio nell’epoca in cui i diritti fondamentali vengono messi sotto i piedi, compressi, negati, in nome della Salute, che non è valore meno importante – questo è certo – ma neppure superiore ad altre libertà essenziali e inviolabili, avvertiamo l’esigenza impellente di creare una indifferenziazione tra maschi e femmine, che si estrinsechi altresì nella moda e che nella moda trovi la sua celebrazione e il suo compimento, allo scopo di sentirci – udite, udite – liberi.

Il congelamento delle sfilate a causa della esigenza di contenere il contagio evitando assembramenti non ci ha impedito di scoprire i nuovi modelli ispirati a questa corrente: magliette attillate e trasparenti per lui e per lei, vestitini per entrambi, tute felpate, pantaloni super attillati, borse iconiche portate sia da ragazzi che da ragazze, come sono comparse ultimamente nelle vetrine dei negozi dedicati a lui del celebre marchio italiano Dolce&Gabbana, sebbene non siano Stefano Gabbana e Domenico Dolce, i quali da decenni glorificano la sagoma femminile strizzandola in deliziosi corpetti e avvolgendola in pregiato pizzo, i fautori di questa avanguardia gender. I suoi promotori sono semmai Gucci e Marc Jacobs. Sul sito del marchio Gucci, nell’ambito del progetto “Gucci Mx”, si legge “le nostre collezioni si propongono di decostruire i dualismi preconcetti e mettere in discussione come si riflettono sui nostri corpi. Esaltazione della espressione di sé in nome dell’uguaglianza di genere”.

Non bastava la confusione da covid-19, era necessaria pure quella dei sessi. Il risultato? Un generale spettacolo tutt’altro che piacevole. Essere alla moda, del resto è risaputo, nulla ha a che fare con l’essere eleganti o anche soltanto decorosi. Così il giovane che indossa la minigonna con tanto di stivali al ginocchio su gambe rigorosamente depilate (visto su diverse passerelle) sarebbe alquanto destabilizzante per la fanciulla al cui cospetto egli si potrebbe presentare per un primo appuntamento. Alla poveretta non resterebbe altro da fare che darsi alla fuga o, smaltito l’impatto iniziale, scambiare con il tizio in questione consigli su shopping e cure di bellezza.

Vedete, la libertà di espressione, sessuale, di genere, di essere il cavolo che si vuole essere, è sacrosanta. Ma il punto è proprio questo: non si può essere ogni cosa insieme. Avere una identità stabile e definita è requisito imprescindibile per la felicità. Ci tocca sapere chi siamo. Chi vuole essere tutto finisce inevitabilmente con l’essere nulla, ovvero con il non essere. Ancora una volta ci accorgiamo che la moda, lungi dal favorire quella libertà di espressione che sostiene di tutelare, non è altro che lo specchio dei tempi e non siamo mai stati tanto disorientati come oggi, fase in cui – guarda caso – lui e lei condividono l’armadio e persino la scarpiera. Un conto è la parità dei diritti, delle opportunità, di trattamento, verso la quale dobbiamo tendere e che dobbiamo perseguire con tutte le nostre forze, un altro conto è la rimozione di ogni tipo di differenza, che invece andrebbe salvaguardata, nonché la fusione dei generi al fine di dare vita a quello neutro (come il sapone) che non si capisce proprio cosa diavolo sia. Aridatece gli uomini di una volta. Magari pelosi e anche con un po’ di pancia, ma almeno abbigliati come si deve.

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