Eccola lì quella lacrimuccia dispettosa che rivela al mondo ciò che stiamo provando. Trattenerla è quasi impossibile. C’è chi ha sviluppato un vero e proprio talento nel contrastarla, nuocendo così solo a se stesso, e chi non ce la fa.

Ci prova e ci riprova e alla fine resta fregato. Esordisce, solleviamo lo sguardo per ricacciarla indietro, ma ormai siamo spacciati, poiché essa scivola verso l’angolo dell’occhio, mentre noi ci affrettiamo a prosciugarla con la punta delle dita prima che cada giù rigandoci le gote e infine facendo un tonfo sordo sul tavolo o sul pavimento, dove muore inghiottita. E accade che dopo la prima ne vengano fuori altre, a frotte. Si affrettano ad evadere da quello sfiatatoio appena rabberciato.

Corriamo in cerca di un luogo riservato in cui lasciarci andare, senza essere visti, sorpresi, spiati, colti nella nostra fragilità, quella cosa da cui rifuggiamo e che pure non ci staccheremo mai di dosso. Piangiamo per gioia, ma anche per dolore; per paura, stanchezza, disperazione, malinconia, nostalgia, solitudine, amore, rabbia, umiliazione, gratitudine, impotenza, lutto e pure nascita. Esistono milioni di motivi per versare stille e – badate bene – sono tutti assolutamente validi.

Poiché il pianto è ciò che di più spontaneo ed autentico sia capace l’uomo, ancora più di un sorriso che può essere simulato fino a sembrare una orribile smorfia. Eppure, nonostante si tratti di un fenomeno naturale, al pari di mangiare, bere e fare pipì, ancora oggi gocciolare rappresenta un tabù. Soprattutto in certe aree del mondo. I ricercatori hanno infatti evidenziato che nei Paesi più poveri l’atto del piagnucolare è considerato socialmente deplorevole, mentre in quelli più ricchi ed evoluti esso è maggiormente accettato. Tuttavia, le lacrime non vengono incoraggiate neanche nel progredito Occidente.

Tutt’altro. Ci siamo sentiti dire tutti: “Sorridi”. Di contro, mai nessuno ci ha esortati a lacrimare, semmai a smettere di farlo. Allorché eravamo bambini, genitori, nonni e zii ci ripetevano: “Non piangere”. Farlo equivaleva ad essere deboli, fastidiosi, inopportuni. Ci hanno educati a trattenere il pianto, reprimendo così sia i sentimenti negativi che quelli positivi, insegnandoci che le lacrime sono indecorose e non si addicono soprattutto ai maschi. E siamo finiti con il diventare adulti esageratamente pudichi nell’espressione di ciò che sentiamo, a volte poco empatici, con difficoltà a riconoscere persino le nostre sensazioni e non solo quelle altrui.

Eppure lasciarsi andare a questo sfogo fisiologico è nient’altro che umano. Anzi, pure animale, dato che come noi le bestie lacrimano poiché provano emozioni.


Il pianto costituisce un vero e proprio enigma indagato dagli scienziati di tutto il mondo da svariati secoli. Nell’antichità si credeva che l’acqua che sgorga dagli occhi avesse la sua fonte nel cuore e, in effetti, un fondo di verità in tutto questo c’è ove consideriamo a livello metaforico il muscolo cardiaco con i suoi battiti e sussulti quale dimora di tutto ciò che si agita in noi. Ma anche allora i pareri erano discordi.

Ippocrate, ad esempio, riteneva che le lacrime derivassero dalla testa. Durante il Rinascimento era diffusa la convinzione che l’amore riscaldasse il cuore e che questo, al fine di raffreddarsi e non esplodere nel petto, producesse vapore acqueo destinato poi ad essere espulso dal corpo passando attraverso gli occhi. E poi nella seconda metà del Seicento la scienza stabilì che quelle goccioline misteriose avevano origine nella ghiandola lacrimale, riducendo il fenomeno ad una mera esigenza dell’organismo di mantenere pupille e iride umide al fine di permettere la vista.


L’unica certezza ancora oggi è che veniamo alla luce frignando e dunque questa è la prima nostra azione: essa comunica e attesta che esistiamo, che siamo vivi, sani, che il sangue scorre nelle nostre minuscole vene e desideriamo esserci. Il vagito è sintomo di vitalità. Basterebbe considerare ciò perché non venga rinnegato, perché chi singhiozza non sia etichettato come depresso, o lamentoso, o deboluccio. Medici e studiosi ritengono che non bisogna temere i lacrimoni bensì la loro assenza.

Reprimere i singulti può infatti favorire l’insorgere di diverse malattie nonché disturbi d’ansia, gastrointestinali e respiratori. Inoltre, secondo la scienza, coloro che hanno acquazzoni dagli occhi tendono ad essere mentalmente più sani rispetto a quelli che stanno asciutti.

I motivi sono semplici: i primi non hanno paura delle loro emozioni, non le aggirano, non le eludono, ma le sperimentano e comprendono; non si lasciamo condizionare dai dettami e dalle aspettative della società e sono in grado di ascoltare i loro reali bisogni psico-fisici. Insomma, piangere fa bene alla salute.

Del resto è acclarato che i lucciconi possiedono un effetto calmante, ossia riducono angoscia, tensione e stress, inducendo uno stato di rilassamento che favorisce altresì il sonno; alleviano il dolore fisico e migliorano l’umore, poiché le lacrime sono accompagnate da un rilascio di ossitocina e endorfine; conducono all’espulsione di tossine; combattono i batteri, contribuendo a tenere gli occhi puliti e preservando la vista; abbattono il pericolo di somatizzare la sofferenza e ci rendono più lucidi e propensi ad affrontare i problemi che abbiamo difronte.
Insomma, non ci resta che piangere.

Di giorno e di notte. O da soli o in compagnia. Unica accortezza: premunitevi di farlo con la persona giusta poiché nulla è più intimo del pianto. Possiamo ridere con chiunque, ma lacrimare solo con pochi.

Pubblicato su Libero del 29 marzo 2019

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