Quello che è accaduto a Urbino ha dell’incredibile e ci dà la misura di ciò che sta avvenendo nel nostro Paese, dove, nella indifferenza generale, purtroppo, si sta giorno dopo giorno realizzando una deriva dei valori su cui si basa la democrazia e pure la nostra Repubblica. I gestori di un bar hanno esposto un lavagnetta dove appariva questa innocua frase motivazionale: “Raccomandiamo alla gentile clientela di non smettere di vivere per paura di morire”. Una esortazione alla vita, non al suicidio, quindi benevola e benefica. Eppure sono piombati nel locale, il bar Caffè del Sole, situato nel cuore di Urbino, prima una pattuglia della polizia e poi i carabinieri. Mancava soltanto l’esercito.
Le forze dell’ordine, stando alla testimonianza dei protagonisti della vicenda, avrebbero intimato ai gestori di cancellare quelle parole, ma questi ultimi si sono rifiutati di farlo. “Toglietela altrimenti saranno presi provvedimenti”, avrebbero insistito gli uomini in divisa, secondo il racconto dei proprietari del locale. “Gli agenti al nostro rifiuto hanno provveduto a fare delle foto e a minacciarci ancora una volta”, spiega Jacopo Celi, il gestore, il quale non ha commesso alcun reato esibendo una frase positivamente esortativa. Assurdo che persino la poesia venga ritenuta pericolosa, minacciosa, preoccupante, tanto da richiedere l’intervento delle volanti.
Il primo formidabile strumento di ogni regime autoritario è la censura, ossia la repressione della libertà di pensiero, censura di cui io stessa sono stata vittima, in quanto giornalista che dal principio, ossia da luglio, ha espresso la sua opinione critica nei confronti del green pass attraverso i social network e questo sito, senza la pretesa quindi di incidere sulla linea editoriale di Libero né di scrivere su Libero riguardo questi specifici argomenti. Sono stata prima emarginata dal giornale, dove per sei anni ho lavorato vergando quotidianamente pezzi di una certa rilevanza dal momento che andavano quasi sempre in prima pagina e si facevano notare, poi licenziata. Mi sono stata rimproverate proprio le mie opinioni, che mi sono rifiutata di correggere adeguandole a quelle della direzione, anche perché ritengo che ognuno, soprattutto nel privato, sia assolutamente libero di esporre il suo pensiero. Il lettore mi perdonerà se mi sono dilungata nel narrare di me stessa, ossia della mia personale esperienza. Purtroppo, essere vittima di censura è una vera e propria violenza, che produce dolore fisico e spirituale e che io non ho ancora superato, avvertendolo talvolta in modo lacerante. Ecco perché non accetto che qualsiasi persona venga limitata nella sua libertà di opinione, pensiero e parola. L’unico limite ammesso a codeste sacrosante libertà è il rispetto dell’altro, ovvero il dovere di esprimersi senza insultare e deridere chi non la pensa come noi.