C’erano una volta le rubriche sull’amore, come la posta del cuore, in cui i lettori mettevano a nudo le proprie fragilità nonché dubbi, paure, desideri, affidandosi ai consigli dell’intellettuale di turno come fosse un amico fidato. Parlare di buoni sentimenti deve averci in qualche modo stufato, o deve essere passato di moda, se Repubblica ha creato la rubrica sull’odio, la cui nascita fu annunciata da Paolo Berizzi il 25 novembre del 2019.
“Piovono pietre” è il nome di questo spazio dedicato stavolta all’odio e inaugurato proprio nel novembre scorso con “l’obiettivo di avvicinarci il più possibile alla radice della lunga stagione del cattivismo”, cosa che non ci appariva tanto rassicurante né promettente. Berizzi chiese cortesemente ai lettori di inviargli segnalazioni, in quanto egli si sarebbe impegnato ogni giorno, cosa che di fatto ha compiuto, a raccontare “un episodio di razzismo, fascismo, nazismo, antisemitismo, bullismo politico, sessismo”, convinto che – come egli stesso specificò – “l’informazione sia un antidoto all’odio”. In tal modo Repubblica e Berizzi hanno fornito il loro contributo alla costruzione di una società più giusta, compatta e felice. Una sorta di rimedio omeopatico. L’odio combattuto narrando odio.
E tale rubrica dovrebbe adesso ospitare per coerenza proprio il suo autore, ossia Paolo, il quale sostiene che l’ondata di maltempo che si è abbattuta su Verona, mettendo in ginocchio la popolazione, derivi dal “karma” e sia dunque una sorta di punizione divina per “i nazifascisti e i razzisti” veronesi. Un po’ come l’Isis, al principio, riteneva il coronavirus un castigo inflitto da Allah al degenerato mondo occidentale, composto da infedeli impuri. Il livello del ragionamento è il medesimo. Rasoterra.
Ci risiamo: coloro che dichiarano di volere combattere l’odio poi lo seminano, eccome se lo seminano.
Certo, il fatto che Berizzi parli del “mondo nero del razzismo, dell’antisemitismo, dei rigurgiti fascisti e nazisti”, così come egli stesso ha spiegato, rende la sua pagina un pochino tanto anacronistica, e fin dal principio, inoltre, ci ha indotto lecitamente a sospettare che, rimanendo fedele a se stessa, Repubblica non avrebbe concesso spazio alla denuncia di atti di violenza verbale e fisica che hanno come vittime persone che appartengono o sono vicine ad una determinata corrente politica, quella di destra.
Ecco perché l’iniziativa non solo non ha cancellato l’astio, ma lo ha alimentato, in quanto si fonda sul presupposto del tutto disonesto che odiare non sempre sia sbagliato e deprecabile. Si possono odiare coloro che vengono tacciati di essere razzisti, ossia quelli che chiedono che l’immigrazione clandestina venga controllata e arginata anche al fine di non favorire il commercio di esseri umani. Si possono odiare gli elettori che votano a favore del capo della Lega Matteo Salvini, il quale rappresenta l’incarnazione del male assoluto, il successore di Hitler o di Mussolini.
Non si possono odiare le donne, però si può odiare la leader di Fratelli d’Italia Giorgia Meloni, la quale fu fotografata di spalle in un ristorante romano dall’attrice Asia Argento che commentò: “Guardate la schiena lardosa di una fascista”. La stessa Asia Argento che si spaccia per paladina delle donne. Il che fa alquanto ridere. Perché l’odio, vedete, è odio e basta e non può essere giustificato o applaudito allorché colpisce chi non ci piace.
Scrivere su un muro o sui social network che Salvini deve essere impiccato, o “Spara a Salvini”, è un episodio di quel “bullismo politico” di cui garantisce di occuparsi Berizzi, per cui ci aspetteremmo che egli nella sua rubrichetta ne faccia qualche volta menzione. Era odio pure quello che il giornalista della Rai Fabio Sanfilippo ha riversato su Facebook il 4 settembre scorso quando digitò: “Salvini, ti sei impiccato da solo. E ne sono felice. Tempo sei mesi e ti spari, nemico mio. Mi dispiace per tua figlia, ma avrà tempo di riprendersi, basta farla seguire da persone qualificate”.
Eppure in questi casi, ossia allorché il bersaglio dell’invettiva crudele e violenta è di destra, vengono tirati in ballo gli attenuanti e si sostiene che si tratti di libertà di espressione, un principio purtroppo deformato, o si sceglie un silenzio assordante e complice.
“Il bollettino dell’odio che spurga dalle viscere di una società avvelenata dalla rabbia e dall’intolleranza”, così lo definisce Berizzi, metterà all’indice i cosiddetti sovranisti e populisti e codesto intento fu proclamato a chiare lettere. Sono questi, infatti, secondo Repubblica, a fomentare l’odio, in quanto promotori della “cultura muscolare della chiusura, dei muri, delle presunte diversità vissute come minaccia”. Insomma, la rubrica di Berizzi sprizza risentimento ed acredine da tutti i pori e ha subito individuato l’avversario da macellare, da screditare, da porre alla gogna, da infangare senza che ciò susciti scandalo. Chi è? Sei proprio tu, sì, e sono pure io, siamo noi, è qualsiasi individuo libero che si rifiuti di adeguarsi e piegarsi al pensiero unico buonista ed ipocrita.
A noi non è concesso di odiare ma neanche di amare, poiché siamo il peggio del peggio dell’umanità, incapace di partorire qualcosa di buono. Verità e giustizia stanno dall’altra parte, secondo Repubblica. Dalla sua, dalla parte dei progressisti che vogliono i porti e le porte aperte e poi guardano con disprezzo il senzatetto che fa la pipì davanti al loro appartamento, dei radical-chic che hanno schifo della democrazia e delle sue regole e che considerano Salvini un pollo ruspante, un contadinotto immeritevole del ruolo che gli hanno dato gli italiani, dei democratici che insorgono indignati soltanto quando ad essere oltraggiata è una donna di sinistra, perché sotto sotto pensano che quella di destra si meriti di essere ingiuriata “puttana”.
A cosa serve una rubrica sull’odio se non a spargerlo, a spalmarlo, diffondendolo a macchia d’olio?