Lo aveva convinto a recarsi nel bosco per fare incetta di funghi, così Vincenzo Cordì, cameriere di Roccella Jonica, in provincia di Reggio Calabria, al fine di accontentare la moglie, era uscito di casa all’alba raggiungendo una località di altura, nei pressi di San Giovanni di Gerace. Enzo non poteva di certo immaginare che la consorte, Susanna Brescia, gli avesse teso una trappola diabolica, pianificata per mesi nei minimi dettagli e con la complicità dell’amante e del figlio di lei, nato da un precedente matrimonio.
Fu proprio ella, lo scorso novembre, a premere il grilletto e a fare partire il colpo che ferì gravemente ma non stroncò l’uomo. Per finirlo nella maniera più crudele possibile nonché per depistare gli inquirenti, Susanna cosparse poi il corpo di Vincenzo, il quale era ancora cosciente eppure non in grado di opporsi, con la benzina dandogli fuoco. Lo scorso 13 novembre i carabinieri ritrovarono il cameriere carbonizzato all’interno della sua auto e da lì si aprirono le indagini, culminate ieri mattina nell’arresto della signora e dei suoi complici. Il movente dell’assassinio brutale risiede nel desiderio di Brescia, la quale aveva intrapreso una relazione extraconiugale, di liberarsi in modo definitivo e drastico dell’uomo da lei sposato, eliminandolo dalla faccia della Terra, riducendolo in un cumulo di cenere.
Codesta macabra notizia giunge a ridosso di una settimana nera, durante la quale ben sei donne, da Nord a Sud, sono state trucidate da compagni o ex, e conferma ciò che seguitiamo a sottolineare ogni volta che si cerca di attribuire un genere specifico persino alla violenza, declinandola sempre al maschile, come se soltanto i maschi fossero capaci di rendersi autori di sanguinosi crimini e alle femmine, di contro, spettasse sempre il ruolo di vittime.
Una visione limitata e falsata della realtà, che ci induce a sottovalutare la cattiveria insita pure nell’animo del cosiddetto gentil sesso, al quale non sono sconosciute falsità, spietatezza e propensione ad ammazzare a sangue freddo senza provare il minimo senso di colpa, proprio come ha fatto Susanna Brescia, la quale si è sbarazzata del coniuge come ci si libera di un paio di scarpe vecchie ed era convinta di restare impunita, forse proprio perché donna, quindi al di sopra di ogni sospetto. Del resto, in Calabria chi massacra è la mafia allorché decide di regolare i conti, oppure, come accade nel resto della penisola, i compagni gelosi che non accettano di essere abbandonati. Chi mai avrebbe sospettato una misera vedova, intenta a piangere e strapparsi i capelli sulla bara dello sposo?
Il nostro ottuso bisogno di dividere il mondo in buoni e cattivi ci ha indotti a inserire nella seconda categoria i maschi, nella prima le femmine. E questa maldestra semplificazione si è impressa ormai come uno schema fisso, da cui deriva un assunto pericolosissimo oltre che ingiusto: gli uomini sono sempre colpevoli. Quindi vengono criminalizzati in modo automatico.
Eppure se c’è qualcosa che hanno in comune i due generi è proprio il germe del male, che in alcuni individui cresce e fiorisce e produce frutti guasti a prescindere dalla morfologia delle loro parti basse. Lo testimonia altresì la storia, costellata di figure femminili che definire malvagie sarebbe poco. Signore dalla personalità complessa e contorta, dotate di un lato oscuro, profondo come un abisso e talvolta bene mascherato tramite grazia e dolcezza, le quali non hanno esitato a trasformarsi in assassine per interesse, per vendetta o per gelosia.
Da alcuni studi risulta che quasi la metà delle killer uccide membri della propria famiglia, il 26% amici o conoscenti, facendo leva appunto sulla fiducia, che diventa un’arma in più da utilizzare contro i propri succubi. Proprio come ha fatto Susanna, la quale ha persuaso il marito a raggiungere un luogo isolato (dove raccogliere i funghi), diventato poi scena del crimine.
Forse per l’inclinazione naturale alla pulizia e all’ordine, le donne non amano lo spargimento di sangue o la mutilazione dei corpi. Uccidono più spesso in maniera silenziosa e lenta, magari ricorrendo all’avvelenamento o al soffocamento, prolungando così la sofferenza e l’agonia di coloro che cadono nelle loro spire. Insomma, esse non sono meno temibili dei signori. Nonostante ciò, resiste, anzi si cementa sempre di più lo stereotipo medievale della fanciulla angelicata, la quale è la parte debole del rapporto di coppia e mai quella preponderante. Nell’immaginario collettivo è lui il diavolo, lei è l’acqua santa, l’esserino indifeso che non potrebbe mai compiere nefandezze.
Se intendiamo combattere sul serio gli stereotipi di genere, allora è il caso di abbattere pure tale subdolo pregiudizio.
Articolo pubblicato su Libero il 4 febbraio del 2020