All’alba di ieri la guardia di finanza di Napoli ha eseguito sequestri per oltre un milione di euro nei confronti di decine di soggetti, condannati tutti per il reato di associazione di tipo mafioso, che risultano avere percepito il reddito di cittadinanza pur non avendone diritto. Il giorno precedente i carabinieri del comando provinciale di Lecce, invece, hanno individuato un uomo il quale, nonostante fosse titolare di tre imprese attive e operanti, beneficiava del sussidio, che ammontava a 900 euro al mese. Martedì i carabinieri di Palermo hanno accertato che cinque boss, tra cui un capomafia locale, intascavano l’obolo grillino. Un altro furbetto è stato stanato qualche giorno prima a Brescia: un consulente fiscale che se ne andava in giro a bordo di una Ferrari 458 Cabrio eppure riceveva il reddito di cittadinanza dal maggio del 2019.
Della misura pensata e voluta dai pentastellati allo scopo di abbattere la povertà nonché creare (miracolosamente) lavoro godono oggi oltre 1,3 milioni di cittadini, tra cui – come ci racconta la cronaca ogni dì – ereditieri, criminali, imprenditori, proprietari di beni mobili e immobili, cosa che produce danni milionari alle casse dello Stato, eppure – non si capisce perché – chi ne avrebbe davvero bisogno sovente non ottiene un quattrino per campare dignitosamente, o almeno per sopravvivere alla meno peggio. Insomma, il reddito va a cani e porci, però non, ad esempio, ai senzatetto che in queste settimane muoiono congelati sul marciapiede. Da novembre scorso ad oggi soltanto nella capitale, governata da quei cinquestelle che si vantano di avere eliminato l’indigenza, sono deceduti nella indifferenza generale undici homeless, a Milano solo a gennaio tre, a Firenze due. Altri si sono spenti a Napoli, a Salerno, a Genova. Mercoledì sera, a Montebelluna, in provincia di Treviso, al primo piano di una palazzina abbandonata è trapassato per asfissia un sessantunenne di nome Omar Halmi che si era rifugiato in quel luogo per scampare al gelo, accendendo probabilmente un piccolo fuoco che gli è stato fatale.
Al fine di ottenere il sussidio è necessario essere residenti in Italia da almeno 10 anni, di cui gli ultimi due in maniera continuativa, e questa condizione ha precluso ai clochard di usufruire della misura. Però, lo scorso 19 febbraio, con una nota il Ministero del Lavoro ha specificato le modalità attraverso le quali ai senza fissa dimora è concesso di richiedere il reddito di cittadinanza: essi, anche se cancellati dall’anagrafe per irreperibilità, possono accedere al sostegno. Tuttavia non sembra essere affatto facile per i barboni incassare l’assegno. La burocrazia, è noto, rappresenta un ginepraio e sovente accade che si resti impigliati nelle sue maglie. Ed ecco che si giunge a situazioni paradossali: da un lato abbiamo migliaia di persone che non abbisognano di alcun supporto statale per vivere, peraltro beatamente, tra agi e mollezze; dall’altro abbiamo migliaia di disperati, uomini e donne di ogni età, che non hanno nemmeno un tozzo di pane per placare i morsi della fame né una tettoia sotto la quale ripararsi e che ogni notte rischiano di perire tra atroci sofferenze.
La domanda a questo punto sorge spontanea: ma il M5s non aveva proclamato di avere estinto la miseria?
Il reddito di cittadinanza non soltanto non ha annullato la disperazione in cui versa parte della società, ma non ha neppure favorito l’inserimento lavorativo di coloro che lo mettono in tasca. Al 30 settembre del 2020 su 1.369.779 percettori abili al lavoro hanno racimolato una occupazione solamente 352.068 beneficiari (25,7%), di questi la stragrande maggioranza, ossia l’84,6%, ha concluso contratti a scadenza, ovvero della durata di pochi mesi.
A fine aprile all’esercito sempre più nutrito di disoccupati si aggiungeranno i quasi 3 mila navigator i quali avevano il compito – inevitabilmente fallito – di aiutare gli assistiti a trovare un impiego. Peggio di così non potrebbe andare.