La giornalista Rula Jebreal ha pubblicato su Twitter un post che testimonia la sua ignoranza, ossia la sua non conoscenza di dati, statistiche e realtà. Ella ha scritto: “Willy Monteiro è stato trucidato perché aveva la pelle nera. Il razzismo, l’incitamento all’odio e la violenza di matrice fascista in Italia sono un’emergenza sociale che denuncio da anni. Quanti devono morire prima che la politica affronti questa pandemia assassina?”. Dunque, secondo Rula in Italia, unico Paese al mondo che accoglie e mantiene (attualmente sono in accoglienza circa 85 mila extracomunitari) cittadini africani giunti qui illegalmente e che nessun’altra Nazione vuole, sarebbe in corso una “pandemia assassina” che falcia individui dalla pigmentazione scura.

Eppure gli atti criminosi legati a razzismo e xenofobia sono in progressiva diminuzione. Nel 2019 i reati d’odio, che includono pure fattispecie inerenti al razzismo in tutte le sue torbide sfumature, sono stati numericamente inferiori rispetto a quelli registrati l’anno precedente: 969 contro 1.111. È quanto emerge dall’indagine dell’Osservatorio per la sicurezza contro gli atti discriminatori (Oscad), organismo composto da Polizia di Stato ed Arma dei Carabinieri, il quale da un decennio raccoglie questo genere di dati.

Insomma, nonostante ciò che sia Rula che Chiara Ferragni che i giallorossi ci raccontano e vogliono farci credere, ossia che in Italia viga un clima di rabbia e di intolleranza crescenti nei confronti dello straniero a causa di un fascismo strisciante, tale da doverci indurre a temere un rigurgito nazi-fascista e le deportazioni di massa, l’insofferenza nei confronti di coloro che vengono percepiti come “diversi” per cultura, nazionalità e sfumatura dell’epidermide si assottiglia sempre di più, come è giusto che avvenga in qualsiasi Stato progredito e civile.

Cala l’odio eppure ribolle e si gonfia l’allarme riguardante il suo dilagare inarrestabile e si decide addirittura di istituire con urgenza una commissione parlamentare che indaghi sui fenomeni di odio. Qui i conti non tornano. Ecco perché è lecito ritenere che una sinistra in crisi esistenziale, del tutto incapace di ripensarsi e di assumere un atteggiamento propositivo, si sia inventata un pericolo da scongiurare, un nemico da abbattere, una tematica inconsistente sulla base della quale condurre la sua incessante campagna elettorale.

Il fantasma del fascismo non è stato forse sventolato tenacemente prima delle elezioni del 4 marzo 2018? E anche dopo, purtroppo. E tuttora più che mai, adesso che il governo giallorosso si trova sulle spine e la resa dei conti in diverse Regioni è vicina. Ancora una volta l’unico straccio di contenuto (peraltro invalido) da opporre all’antagonista politico è la necessità di porre un argine contro l’esplosione di acredine in seno alla società italiana, di cui sarebbe colpevole il leader della Lega e tutto il centro-destra.

Eppure tutto si può affermare riguardo gli abitanti della penisola fuorché che essi siano razzisti. Non vi è traccia nel loro dna di un sentimento di avversione nei confronti di chi proviene dall’esterno, essendo stato per millenni il nostro territorio, per vocazione geografica e non solo, un crocevia di popoli e di civiltà, elemento che ha determinato quella ricchezza culturale e artistica la quale ci caratterizza e fa del nostro Paese uno dei più belli, se non il più bello, e visitati del pianeta.

Da sempre accogliamo, inglobiamo, includiamo, abbracciamo, e purtroppo ci facciamo anche dominare, conquistare, piegare dagli invasori che nel corso dei secoli, ingolositi dalla nostra avvenenza, hanno marciato dalle Alpi all’Aspromonte e viceversa. Tale è la nostra apertura, nonché la nostra incapacità di odiare l’altro, quantunque diverso, quantunque ostile.

Abbiamo forse mutuato dagli antichi greci il senso dell’ospitalità. E proprio lì dove essi edificarono le loro colonie, ossia nell’estremo Sud, resiste l’abitudine, oramai sedimentata ed incancellabile, di conferire e riconoscere a colui che giunge da fuori una sorta di sacralità, per cui lo si onora e coccola e vezzeggia. Come se non bastasse noi stessi siamo un popolo di migranti, partiti dalla amata terra natale con la valigia di cartone traboccante di sogni e speranze e paure inconfessabili. Quindi, no, noi non siamo razzisti. E non lo potremo essere mai.

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