In base alle ultime prescrizioni lessicali, in voga dagli anni Novanta ma sempre più diffuse oggigiorno nel mondo Occidentale tutto, il termine “negro” costituisce un’offesa, peraltro grave. Così, allorché si intenda riferirsi ad un soggetto dalla pigmentazione scura, è bene che si dica “nero”, oppure “di colore”, al fine di non urtare la sensibilità collettiva beccandosi altresì l’accusa di razzismo. Come è accaduto la scorsa settimana all’ex presidente francese Nicolas Sarkozy, il quale in tv è incappato in una tragica gaffe, in occasione della presentazione del suo ultimo libro.

Sarkozy esprimeva un parere negativo circa le élite che “come scimmie non ascoltano nessuno”. Il marito dell’ex top model Carla Bruni, facendo del sano sarcasmo sulla folle dittatura del politically correct, ha domandato a chi lo intervistava: “Abbiamo ancora il diritto di dire scimmie? Perché non abbiamo più il diritto di dire…, come si dice ora, “I dieci piccoli soldati”? Si dice così. Già, la società progredisce”. L’ex presidente si riferiva al romanzo di Agatha Christie “Dix petits nègre”, che è stato appena ripubblicato in Francia sostituendo nel titolo il termine “nègre” con “soldat”. Perciò Nicolas è stato immediatamente tacciato di associare la parola “scimmie” a “negri”, quindi di essere xenofobo. E al di là delle Alpi è scoppiato il finimondo.

La lingua non è qualcosa di statico, bensì vitale: essa è organismo che muta in continuazione. Tuttavia, adesso è il politicamente corretto a determinare una distinzione manichea tra ciò che è ammesso proferire e ciò che è severamente vietato pronunciare, pena lo stigma (a vita) di intollerante. Nell’epoca della libertà tracimata in dissolutezza e libertinaggio possiamo essere disinvolti nei costumi ma guai ad esserlo nell’uso del vocabolario, il quale richiede l’osservanza di rigide norme sociali, stando bene attenti a non inciampare in aggettivi o sostantivi che fanno perdere la faccia e danneggiano la reputazione.

Si dia il caso appunto che coloro i quali adoperano la parola “negro” siano per ciò stesso fascisti, razzisti, estremisti di destra, ignoranti e incivili. Eppure fino a qualche anno fa cantavamo a squarcia gola alle feste canzoni quali: “Siamo i watussi, siamo i watussi, gli altissimi negri” di Edoardo Vianello, oppure “El negro Zumbon” di Nilla Pizzi. Non ci stancavamo mai di guardare film intramontabili che hanno fatto la storia del cinema, quali “Via col vento” (1939) o “Indovina chi viene a cena” (1967), dove “negro” viene ripetuto in continuazione e non ha alcuna connotazione dispregiativa. Una ventina di anni addietro la mia professoressa di latino e greco, in quinta ginnasio, volle che quest’ultima pellicola fosse proiettata in classe in quanto la riteneva estremamente educativa: una ragazza bianca di una facoltosa famiglia di San Francisco perde la testa per uno stimato medico afroamericano ed i due decidono di sposarsi dopo dieci giorni dal primo incontro, non senza prima superare qualche resistenza da parte delle famiglie di entrambi, preoccupate per i pregiudizi che i giovani dovranno affrontare. La fanciulla non si fa problemi nell’affermare che l’uomo che ama è “negro” e pure questi utilizza nei confronti di se stesso codesto termine. Dunque nulla di scandaloso. Eppure ora tale opera cinematografica verrebbe censurata, come è accaduto a “Via col vento”.

La guerra al dizionario si fa sempre più aspra. E questo è sintomo della nostra superficialità nonché di un perbenismo di facciata, sterile, finto. Ecco perché non si tratta di un progresso. Ci siamo convinti che le sillabe possano veicolare dei giudizi morali e non semplicemente indicare o descrivere qualcosa. Ecco dunque che dire “negro” equivale, almeno per i seguaci del politicamente corretto, ad esprimere una valutazione negativa, di inferiorità. È una schizofrenia questa pretesa di epurare il linguaggio da quelle voci a cui da sempre ricorriamo e alle quali non abbiamo mai attribuito alcuna funzione insultante. Ad esempio, “clandestino” non si può più scrivere, eppure tale vocabolo descrive una condizione giuridica e non è mica una ingiuria. Siccome adesso abbiamo tanti neri in Italia è bene non chiamarli “negri” e siccome abbiamo tanti immigrati illegali è bene non chiamarli “clandestini”. Peccato che codesti assunti siano privi di senso logico.

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