Il giornalista del Tg2 Andrea Romoli rischia punizioni poiché ha affermato il vero in un post pubblicato sui Facebook : “L’omicida (di don Roberto Malgesini) è immigrato clandestino, violento e mafioso”. Del resto è noto che il tunisino che ha ammazzato a coltellate il sacerdote era irregolare e aveva peraltro ricevuto diversi decreti di espulsione, sommati uno sull’altro eppure rimasti lettera morta.
Occorre chiarire ai colleghi e ai sedicenti democratici che la parola “clandestino” non costituisce una ingiuria, bensì rimanda ad una condizione prettamente giuridica, quella propria di chi in maniera illegale giunge o dimora sul territorio di un altro Stato che non è il suo. Il termine compare pure nel diritto ed è ogni dì inserito in sentenze e pareri di giudici, senza che ciò desti scandalo e senza che nessuno minacci per questo il licenziamento e l’impiccagione dei magistrati.
Precisamente, come si legge su qualsiasi vocabolario, “clandestino” è chi faccia ingresso e/o soggiorni sul territorio dello Stato senza averne titolo. Questo è pacifico e incontrovertibile.
Testualmente il termine compare nell’art. 12 del Decreto legislativo 25/07/1998 n. 286 (c.d. testo unico sull’immigrazione), intitolato “Disposizioni contro le immigrazioni clandestine”, il cui primo comma recita: “Salvo che il fatto costituisca più grave reato, chiunque, in violazione delle disposizioni del presente testo unico, promuove, dirige, organizza, finanzia o effettua il trasporto di stranieri nel territorio dello Stato ovvero compie altri atti diretti a procurarne illegalmente l’ingresso nel territorio dello Stato, ovvero di altro Stato del quale la persona non è cittadina o non ha titolo di residenza permanente, è punito con la reclusione da uno a cinque anni e con la multa di 15.000 euro per ogni persona”.
Nel codice penale l’aggravante della clandestinità era prevista dall’art. 61, n. 11-bis: “l’avere il colpevole commesso il fatto mentre si trova illegalmente sul territorio nazionale” (dichiarata poi incostituzionale, l’aggravante appunto, non la parola).
Quindi il vocabolo “clandestino” viene adoperato e compare persino nel diritto, tuttavia la sinistra pretende di imbavagliare i giornalisti che ricorrono a questo termine, veicolando in tale modo l’assurdo concetto che “clandestino” sarebbe una parolaccia, un’offesa, e chi ne fa uso un criminale da mettere al bando.
Peraltro, anche se tale aggettivo o nome non apparisse nei testi di diritto, non potrebbe essere vietato nel linguaggio parlato e scritto. Trattasi appunto di un termine privo di una connotazione dispregiativa, il quale rimanda ad una condizione giuridica. Vietare il ricorso a certi termini è dittatoriale, come pretendere di epurare il linguaggio dalle parole che non piacciono a una determinata parte politica che si traveste di finto perbenismo e ipocrisia.
Per quanto riguarda il tunisino che ha trucidato il prete di Como, chi potrebbe negare che sia violento? “Violento” anzi ci suona alla stregua di un eufemismo in tal caso. Chi prende a coltellate un uomo indifeso da cui ha ricevuto sostegno e amore, a prescindere dal colore della pelle di cui non ci frega un bel niente, può forse essere considerato e definito “persona pacata”, magari “docile”, “dolce”, “tenera”, “inoffensiva”, “delicata”?
L’extracomunitario che ha assassinato don Roberto è clandestino e feroce.
Questa è la verità.