Ci preme segnalare alla collettiva disattenzione la signora dimessamente abbigliata che ogni sabato mattina, alla buonora, prende la metropolitana rossa per giungere in centro dall’estrema periferia e si posiziona all’angolo tra viale Piave e piazza Guglielmo Oberdan, a Milano, per chiede un’offerta ai passanti, i quali, nelle loro faccende affaccendati, non le porgono né lo sguardo né l’orecchio, figuriamoci il benamato portafoglio. Si può trovare lì in qualsiasi stagione dell’anno, d’estate come d’inverno, con 40 gradi all’ombra come con meno dieci.

Stupisce la maniera dignitosa di questa donna di domandare la carità. Lo fa con un garbo che risulta ormai essere estinto, così, osservandola, non puoi che restare sbalordito nel considerare che si possa conservare l’eleganza persino nell’atto del mendicare. Ha i capelli bianchi e sta ritta sulle gambe nervose per ore, senza mostrare segni di cedimento, nonostante abbia 86 anni suonati.

Paola appartiene a quella classe di oltre 4 milioni di pensionati che prendono meno di 750 euro al mese, di cui un terzo non arriva neppure a 500. I 380 euro mensili della sua esigua pensione coprono i 280 euro di affitto e la parte restante non basta per riuscire a mettere ogni dì qualcosa tra i denti. Per non parlare poi di visite mediche, esami clinici, aria condizionata nella stagione calda, riscaldamento in quella fredda, con conseguenze gravi anche sullo stato di salute.

Deprivazioni e rinunce sono tante. Anzi troppe. Tuttavia, Paola, che ha lavorato come contadina e pure come domestica nelle case dei ricchi signori da quando era poco più che una bimbetta, non si perde d’animo e cerca di andare avanti alla meno peggio, ossia portando avanti un’economia domestica non più di semplice sussistenza bensì di sopravvivenza. Se un euro per la maggior parte della gente è niente, per lei è tutto. Può comprarci il riso, o il pane. E sfamarsi. E non essere divorata dai morsi allo stomaco che procura l’indigenza.

“Ho faticato tutta l’esistenza ma nessuno mi ha pagato i contributi e ora prendo una pensione ai minimi termini”, ci spiega. Paola non ha figli e non si è mai sposata. “È questa la mia unica fortuna: non avere mai avuto marito”, dichiara con un’ilarità che appare sincera e che pure potrebbe essere amara. Chissà se in due sarebbe stato più facile sopportare affanni e ristrettezze? È un dubbio lecito. E diventa un dubbio invadente allorché si rincasa e si consuma un pasto povero ad una tavola povera e desolata, prima di mettersi in un letto vuoto e non avere accanto nessuno con cui parlare, con cui ridere o piangere, o da mandare al diavolo. Persino questo aiuta. Se torna nel suo minuscolo monolocale ammuffito con un bottino di 5 euro, Paola è felice. O quasi. Non esageriamo. Potrà comprare il latte, le piace berne un po’ appena sveglia. Le uova. Il filo per rammendarsi la gonna. Il sapone. Paola ci tiene ad essere sempre perfettamente pulita.

Non lontano dal punto in cui si piantona Paola, c’è Francesco Esposito, suo coetaneo. Neanche a farlo apposta. Francesco ogni santo giorno è fisso su corso Buenos Aires, con il suo baracchino abusivo ed improvvisato su cui adagia la merce da proporre in vendita ai passanti. C’è chi con il passo indolente vaga da un negozio all’altro e chi invece corre con l’affanno in ufficio, ma tutti sembrano non accorgersi di quel signore argentato che offre barchettine di legno imprigionate in bottigliette di vetro al costo di due euro. Tanto Paola è silenziosa tanto Francesco è rumoroso e teatrale. “Due euro, solo due euro”, continua a ripetere senza sosta seduto su uno sgabellino, poiché non è più un giovanotto. Ha i muscoli della faccia paralizzati in una smorfia di inconsolabile afflizione. L’anziano prende 630 euro di pensione e ne paga 600 di affitto. Con un euro al giorno non si campa. Quindi per non elemosinare qualche spicciolo in cambio di nulla e mantenere intatta una dignità che gli è cara, Francesco smercia codesti souvenir nautici che quasi stridono con la città di Milano. Andrebbero bene a Capri, o a Panarea.

Ci sono giornate in cui l’uomo non incassa neanche un soldo. Tuttavia non si perde d’animo lui che, padre di cinque figli ormai divenuti adulti alle prese con i loro guai, di momenti duri ne ha passati, lasciandoseli ogni volta alle spalle. Ecco dunque che l’indomani sarà ancora lì, stesso posto stessa ora. Stessa speranza di buscare qualcosa.

Inoltrandoci verso il cuore della metropoli incrociamo almeno una decina di vecchi disperati. Aumentano di mese in mese, ad un ritmo allarmante.

Vite solitarie e disperse. Galleggianti in un mondo in cui non sono più benaccetti, nonostante gli appartengano.

Articolo pubblicato su Libero il 9 giugno 2019

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