L’urlo delle sirene delle ambulanze che sfrecciano sulle strade deserte fa da sottofondo a questo silenzio assordante che è calato come un velo di piombo sulla città di Milano. In questa metropoli adesso blindata le famiglie se ne stanno tappate in casa, timorose del nemico che si aggira invisibile come un spettro là fuori, ad un passo oltre l’uscio, pronto ad attaccarsi addosso e stringersi alla gola di chi osa avventurarsi all’esterno. Si ritrovano intorno ad un tavolo nonni e nipoti, genitori e figli, i quali fino ad ieri avevano difficoltà ad incrociarsi lungo il corridoio, presi come erano dal tran-tran quotidiano. Un’occasione, per quanto drammatica, per conoscersi, essendo perfetti estranei, ascoltarsi, giocare insieme, litigare e fare pace, cucinare, ridere, farsi coraggio. Sembra quasi la vigilia di Natale, complici i supermercati pieni che creano l’illusione che la gente non stia andando a caccia di provviste mossa dalla paura, al fine di affrontare quarantena e coprifuoco, bensì spinta dal delirio delle feste, al fine di allestire pranzi e cenoni con ogni ben di Dio, in un clima di letizia e spensieratezza. L’illusione si sgretola però alla vista di uomini e donne che indossano mascherine e persino guanti di lattice. No, questo non è un party in maschera a cui tutti hanno scelto di partecipare vestiti da chirurghi o infermieri. Un tizio si pulisce freneticamente le mani con il disinfettante tascabile, una fanciulla se la dà a gambe levate allorché un passante starnutisce. Queste immagini ci riportano alla realtà stravolta nella quale siamo ormai immersi fino al collo.

Ciò che fino alla settimana scorsa ci appariva importante, oggi ha smesso di esserlo. La nostra scala di valori è saltata in aria e ognuno di noi è impegnato in una complicata cernita delle sue priorità. Ci eravamo convinti di essere invincibili, tosti, proiettati in modo inarrestabile verso un futuro sempre più prospero e raggiante, ed in questa corsa in direzione di un avvenire dorato procedevamo da soli, per fare prima. Senza ingombri che rallentano il passo. Noi single di Milano – e siamo circa 400 mila – eravamo fieri della nostra indipendenza, legati morbosamente alla nostra libertà, che custodivamo gelosamente ed esponevamo con sfrontatezza ed orgoglio, rivendicandola come nostro appannaggio esclusivo, che nessuno avrebbe avuto il diritto di strapparci. Ora però è intervenuta una variabile che ha trasformato il nostro essere felicemente soli in una solitudine senza scampo, dalla quale insomma è impossibile evadere.

Affrontare la guerra contro il Covid-19 fa più orrore allorché si vive senza compagnia. Ci domandiamo tutti quanti in questi giorni a chi ci rivolgeremmo qualora nel cuore della notte il virus ci aggredisse i polmoni togliendoci ossigeno. Avremmo la prontezza di chiedere aiuto? E a chi? Si trova in questa situazione una importante fetta di italiani, dal momento che negli ultimi cinque anni i single sono lievitati quasi del 9%, superando quota 8,5 milioni. Questi quasi 9 milioni di abitanti della penisola non hanno nessuno sotto il proprio tetto con il quale condividere l’isolamento. Si tratta di giovani ed anziani, maschi e femmine, singoli per scelta o per fatalità, che dovranno contare soltanto sulle proprie forze e risorse materiali e psicologiche per resistere e superare questa emergenza planetaria, la quale ci ha messi davanti ai nostri limiti e alle nostre fragilità. Era più agevole ignorare le personali debolezze quando le nostre esistenze scorrevano serene e a darci preoccupazione erano nient’altro che banalità. Adesso ognuno di noi è alle prese con una dissezione anatomica delle proprie emozioni più profonde, miste a timori e desideri riposti negli anfratti dell’anima. In questo sconfinato deserto ciascuno è chiamato a fare i conti con se stesso. Il Covid-19 ci cambierà per sempre. E nulla più sarà come prima. Ma forse sarà migliore. La rinuncia obbligata agli abbracci e ai baci stranamente risveglia in noi il bisogno di darli e riceverli. Il divieto di uscire e di incontrare gli altri ci fa attendere con ansia il giorno in cui potremo scendere in strada, andare al bar, vedere gli amici, conoscerne di nuovi, mettere da parte il telefonino per guardarci negli occhi e accarezzarci, ridere senza paura delle goccioline che schizzano infettandoci, innamorarci, fare l’amore. Vivere.

Articolo pubblicato l’11 marzo del 2020 su Libero 

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