“L’acido mi ha sciolto e mi ha reso quasi del tutto cieco, ma ciò che corrode di più è l’essere stato messo nel dimenticatoio”, ci confida William Pezzullo, trentunenne bresciano, aggredito dalla sua ex fidanzata, Elena Perotti, con l’aiuto di un complice che lo ha immobilizzato mentre la donna gettava sul ragazzo una secchiata di liquido caustico. Era il 19 settembre del 2012, ore 23.30. Una data che nella vita di Pezzullo segna uno spartiacque, una cesura, un taglio di sequoia tra ciò che era e non sarà mai più e ciò che è: una realtà alla quale William sta ancora cercando di adattarsi, per restare a galla.

“Abbandonato”, è così che si sente Pezzullo. Dallo Stato, dagli amici, molti dei quali si sono dileguati senza un perché; da quella giustizia che non può eliminare i torti subiti, ma quantomeno potrebbe renderli più sopportabili riconoscendoli; dalla società che ancora rigetta l’idea che un uomo possa essere vittima del sesso debole, legata com’è tuttora alla concezione idealistica e medioevale della donna angelicata, “madre amorevole”, incapace di fare del male. Invece no. Anche le donne uccidono, torturano, odiano, perseguitano, violentano, usano sostanze corrosive per annullare l’identità di un altro essere umano.

Gettare l’acido addosso a qualcuno equivale a volerlo cancellare. “È un atto più crudele e cruento dell’omicidio”, osserva Pezzullo, che per venti giorni è stato in pericolo di vita e ha subito oltre 30 operazioni chirurgiche per la ricostruzione del volto, non tutte coperte dal sistema sanitario nazionale. Eppure lei, Elena, pur essendo stata condannata a dieci anni di carcere per lesioni gravissime, ha trascorso in cella solo tre mesi, perché in stato di gravidanza, ed è attualmente agli arresti domiciliari a casa dei nonni. Mentre William lottava per tornare a vivere, Elena è andata avanti: ha avuto un bambino, si è sposata, e poi è arrivata una seconda figlia.

“Dovrei ricevere un risarcimento di un milione e 280 mila euro da parte dei miei aggressori, ma, essendo questi nullatenenti, non vedrò mai ciò che mi spetta di diritto. Le operazioni, le creme, i farmaci, i costosi cerotti al silicone che sono necessari per la guarigione, sono a carico della mia famiglia. Le poche donazioni che ricevo da parte di coloro che non si sono dimenticati di me mi consentono di andare avanti”, ci spiega William, che pochi mesi prima di questo tragico evento aveva aperto un bar che gestiva insieme alla sorella e che è stato costretto a chiudere.

Oggi l’uomo riceve un assegno di invalidità del valore di 900 euro al mese, insufficiente per fare fronte alle cure e ai circa 15 interventi di chirurgia plastica che deve ancora affrontare. Ci impressiona la pacatezza di questo ragazzo. Ci saremmo aspettati che fosse incazzato nero con coloro che gli hanno distrutto l’esistenza, invece Pezzullo ci dice: “Io non riesco a provare rancore verso Elena. Ho rabbia verso la giustizia, nella quale non confido più, dal momento che stenta a riconoscere in me una vittima solo perché sono maschio, come se il mio genere fosse una colpa che attenua il danno subito”.

Una violenza così abominevole non esplode all’improvviso. Si manifesta in piccoli modi, si fa quasi presagire e preannunciare, eppure la gente la nega, non vuole vederla, quando a compierla è una donna. “La mia relazione con Elena è durata 8 mesi. Dopo 5 che stavamo insieme ho scoperto che mi tradiva, l’ho messa davanti alla situazione e lei è diventata violenta. Mi ha preso a pungi, faceva pugilato e sapeva bene come fare male. L’ho lasciata ed ha iniziato a perseguitarmi. Un giorno mi ha inviato la foto di un test di gravidanza, era positivo. Sono tornato con lei perché mi aveva detto di aspettare nostro figlio. Subito dopo mi ha dato la brutta notizia: aveva perso il nostro bambino. Ero a pezzi. Non capivo che mi stava manipolando.

Continuava a tradirmi e ho deciso di chiudere la storia”, ci narra Pezzullo, che per 9 mesi, fino all’aggressione definitiva, ha vissuto un vero e proprio inferno. Elena lo pedinava, lo seguiva ovunque, ha bucato le ruote della macchina a lui, ai suoi amici, ai suoi genitori. “Un giorno mi ha detto di essere di nuovo incinta e che il padre ero io. Non le ho creduto stavolta. Ero esausto. Stavo per scappare in Australia, poi ho deciso di restare, convinto che prima o poi si sarebbe stancata, così mi dicevano tutti”, continua William, che non ha denunciato questa persecuzione per un senso di pudore, per la paura di apparire “poco virile”, di essere deriso, ed anche perché nessuno di coloro che gli stavano intorno aveva preso sul serio i comportamenti della donna.

“Penso sempre che se avessi denunciato Elena, tutto questo si sarebbe potuto evitare. Ecco perché vorrei dire agli uomini che vivono situazioni simili di parlare, di aprirsi, di prendere coscienza dei soprusi subiti, vincendo la vergogna”, afferma Pezzullo.

L’unico a stare scontando la sua pena è proprio lui: “Vivo sempre chiuso in casa. Esco solo per le visite, perché la luce mi infastidisce, come l’essere guardato. Gli amici rimasti sono solo due”. A marzo William ha conosciuto una ragazza e da luglio stanno insieme. “Gli uomini non sono tutti uguali, e – per fortuna – neanche le donne”, conclude il ragazzo.

Articolo pubblicato su Libero il 31 ottobre del 2017

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