“Mi va il sangue alla testa quando sento alla tv di aggressioni da parte di immigrati. Il sacrificio di mia figlia è stato inutile. Proviamo tanta rabbia”, dichiara avvilito Enrico Zaratti, ricordando quel maledetto giorno in cui la vita di sua figlia è stata distrutta in un attimo.

È il 5 agosto del 2011 e Luana, all’epoca ventiseienne, ha appena ripreso il servizio di verificatrice per l’azienda di trasporto pubblico locale della capitale dopo qualche giorno di ferie con le amiche sull’isola d’Elba. È una mattina come tante altre sulla linea 314. Sono le 10:30 quando la ragazza si accinge a multare un utente sprovvisto del titolo di viaggio. Il soggetto, un clandestino di origine egiziana, reagisce con una testata tanto violenta da provocare alla giovane la frattura del setto nasale e un trauma cranico.

È solo il principio di un calvario che ancora dura sia per Luana, sottoposta già ad oltre una decina di operazioni, che per i suoi familiari. La giovane, che era appena andata a convivere con il suo ex fidanzato, dopo tre mesi di intensi dolori ed atroci mal di testa, la sera di Natale entra in coma, viene operata d’urgenza e miracolosamente si salva.

“Ci è cascato il mondo addosso quando ci è stata chiesta l’autorizzazione all’espianto degli organi. Grazie a Dio l’intervento è riuscito e abbiamo passato quasi un mese davanti alla camera di rianimazione”, ricorda Enrico.

Per quasi tre anni Luana è rimasta sepolta in un letto, incapace di muoversi e di parlare. Il corpo deperito, contratto a causa dei terribili spasmi, le braccia rigide poste davanti al viso come per difendersi da qualcosa di invisibile, la bocca deformata in una smorfia di dolore, spalancata in un urlo di terrore perenne e muto, così ci appare la ragazza in un video che ci invia Enrico, pregandoci di non divulgarlo, al fine di mostrarci i progressi che la donna ha compiuto soprattutto negli ultimi anni, grazie alla sua volontà e al sostegno dei genitori che non hanno mai mollato, decisi a restituire alla propria bambina almeno un brandello di quella normalità di cui tuttavia non resta traccia.

“Luana ora fa qualche passetto, io la tengo per mano. Un gran risultato dato che prima era un vegetale”, continua Enrico, che ha trascurato la sua salute per dedicarsi alla figlia, accompagnandola ogni giorno, a sue spese, ai vari appuntamenti con il fisioterapista, lo psicologo, il terapista cognitivo. Luana non ha ricevuto un indennizzo da parte dell’Inail, che ha sostenuto che non ci sia un nesso causale tra il danno cerebrale ed il colpo alla testa. Dunque ella recepisce solo la pensione di inabilità al lavoro, che consiste in 920 euro al mese, insufficienti per coprire i costi delle terapie.

“Il momento peggiore è la sera, quando vedo mia figlia distesa sul suo letto e mi appare così fragile. Io non posso darle ciò che le è stato strappato. Sono un papà che desidera vedere camminare la sua bambina già grande”, ci confida Enrico.

“È cambiato tutto, tranne il carattere forte della mia piccola, che a livello cognitivo è un po’ ripetitiva, ma risulta cosciente. Dopo quasi due anni dall’aggressione Luana ha ricordato ciò che le è accaduto. Dice sempre che perdona quell’uomo, ma capisco che dentro soffoca tanta rabbia. A volte crolla. Se ci vede stanchi, afferma che è colpa sua, allora cerchiamo di rassicurarla”, continua Enrico, il quale ci dice che l’aggressore di Luana, pur essendo stato condannato per direttissima a 14 mesi di carcere, non ha scontato neanche un giorno di carcere, nonostante si fosse già macchiato di crimini simili.

“Potrebbe essere in Italia. Magari vicino a noi. A volte vorrei correre a cercare chi ha fatto del male a mia figlia, poi mi frena il pensiero che, se io facessi una sciocchezza, nessuno si occuperebbe più di lei”, conclude Enrico.

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