Un odio covato silenziosamente per 11 lunghi mesi, ribolliva nello stomaco come dentro una pentola a pressione, pronta ad esplodere. Antonio De Marco, studente di Scienze infermieristiche di 21 anni, ha pianificato con meticolosità maniacale il brutale assassinio dell’arbitro Daniele De Santis e della sua fidanzata Eleonora Manca, realizzato la serata del 21 settembre, a Lecce, nell’abitazione dove la coppia viveva. L’acredine ha avuto libero sfogo in quei dieci minuti di macelleria in cui Antonio ha affondato un coltello lungo quasi 30 centimetri nelle membra delle giovani vittime che non hanno potuto difendersi in alcun modo da quella furia omicida. Una sessantina di colpi che tradiscono una rabbia profonda.
E poi ci sono quegli appunti sporchi di sangue, alcuni ritrovati in prossimità della scena del delitto. De Marco, che aveva coabitato con Eleonora e Daniele nella casa di quest’ultimo nel novembre del 2019, aveva messo per iscritto il suo proposito criminale punto per punto, scongiurando così il rischio di compiere passi falsi. “Cronoprogramma dei lavori”, si intitola il piano delittuoso che include i prodotti da utilizzare per eliminare ogni traccia nonché la “mappa con il percorso da seguire per evitare le telecamere”.
Tuttavia, molte cose sono andate storte. De Marco intendeva torturare i ragazzi prima di finirli, dopo averli legati con delle fascette, ed era convinto di farla franca. Invece dopo sette giorni è stato arrestato e, inchiodato dalle prove, ha confessato. Dal novembre del 2019 la coppia non era più entrata in contatto con il ventunenne fino al 6 luglio scorso quando Antonio aveva chiesto all’arbitro se fosse stato possibile prendere di nuovo in affitto la camera. Il rifiuto ha scatenato il proposito di annientare i due ex coinquilini. Per vendetta. Per invidia. Per un rancore oramai incontenibile, mascherato bene sotto una maschera di mitezza e di flemma.
La banalità del male si esprime bene nell’immagine e nel comportamento abituale di questo ventenne schivo, riservato, poco loquace. Niente in lui avrebbe potuto fare presumere la capacità di attuare tale carneficina e tuttora, osservandolo, si stenta a credere che l’autore di codesto orrore sia proprio lui. Ogni settimana si recava a messa con i genitori, era cortese e cordiale con amici e conoscenti e la sera dei funerali di Daniele ed Eleonora, Antonio se ne era andato a ballare con gli amici, come se nulla fosse.
I delitti efferati che si consumano tra coinquilini sono purtroppo frequenti come quelli tra familiari o vicini di casa. Ecco perché, in un’epoca in cui per ragioni di convenienza sempre più spesso decidiamo di condividere l’appartamento, è opportuno adottare un atteggiamento cauto nella selezione delle persone con le quali scegliamo di coabitare, poiché tra le mura domestiche siamo al sicuro ma anche più fragili qualora il nemico fosse sotto il nostro medesimo tetto. Sfuggirli può diventare impossibile.
Lo scorso marzo, a Bologna, un trentaduenne cosentino ha tentato di trucidare a coltellate uno studente di 26 anni, libanese, con il quale divideva l’appartamento. I motivi dell’aggressione? Questioni legate alla pulizia della casa e all’igiene personale. Nel maggio del 2019, a Monza, un 28enne egiziano, a causa di un cellulare sottratto, è stato ucciso a colpi di coltello dal coinquilino, un connazionale di 29 anni. Nel settembre dello stesso anno, a Palau, Sassari, un 22enne servendosi di un tubo metallico ha cercato di ammazzare nel sonno il suo coinquilino procurandogli la frattura delle ossa del volto. Nel gennaio del 2014, a Dublino, un palermitano di 34 anni ha assassinato il suo coinquilino (nonché proprietario dell’appartamento) divorandone il cuore in seguito ad una lite esplosa durante una partita a scacchi. Nell’aprile del medesimo anno, a Milano, un egiziano di 31 anni è stato tolto di mezzo dal coinquilino poiché russava. Nell’aprile del 2016, a Pinarella di Cervia, Ravenna, un giovane di 22 anni ha accoltellato il cuoco 56enne con il quale abitava determinandone il trapasso. Nel settembre del 2017, a Milano, al culmine di un litigio per 400 euro di affitto non pagati, un 26enne ha inferto colpi mortali con un’arma da taglio al coinquilino 45enne che gli aveva affittato una camera. L’elenco sarebbe ancora lungo. Ci fermiamo qui.
Basta qualsiasi sciocco pretesto per giungere al bagno di sangue, perché il coinquilino è lì, sempre a portata di mano. Facile allora trasformarlo in un perfetto catalizzatore del proprio malessere e della propria insoddisfazione. Farcendolo fuori ci si illude di liberarsi di un male che non sta dentro casa, bensì dentro se stessi.