Restiamo inorriditi allorché si verificano episodi come quello avvenuto ieri mattina presso la stazione di Campiglia, a Livorno, dove un immigrato ha acceso un barbecue sul marciapiede per arrostirci un povero micio. Negli ultimi anni fatti come questi si sono registrati su tutto il territorio nazionale.

Nell’aprile del 2018, ad esempio, in un mercato di Torino, la polizia municipale ha sequestrato spiedini di nutrie e di topi che le nigeriane vendevano in strada per pochi euro come se si trattasse di involucri di patatine fritte. Qualche mese prima, ossia a febbraio, in un centro di accoglienza di Briatico, in provincia di Vibo Valentia, un richiedente asilo ventinovenne è stato sorpreso mentre preparava un cane allo spiedo.

Insomma, i migranti importano qui le loro abitudini culinarie ed alimentari, molto dissimili dalle nostre e considerate da queste parti incivili e barbare, sebbene nei Paesi di origine costituiscano tradizioni da salvaguardare a qualsiasi costo. Come il Festival di Yulin, in Cina, in occasione del quale ogni anno, a fine giugno, decine di migliaia di cagnolini vengono sottratti alle famiglie, imprigionati, torturati, bastonati, squartati e spesso cucinati vivi al fine di mantenerne le carni più gustose.

Tuttavia, pure in Occidente resistono usi poco umani che però non ci scandalizzano, come quello di cucinare o mangiare creature ancora in vita. Pensiamo alle aragoste, esposte negli acquari o nelle vetrine dei ristoranti più eleganti in attesa che il cliente ne decreti la morte. Questi crostacei vengono gettati nell’acqua bollente ancora vivi e si dimenano per il dolore, tentando di scampare da quell’atroce martirio.

Sul nostro territorio anche le lumache vengono ingurgitate o messe sul fornello vive e vegete. Per non parlare delle rane, talvolta gettate nell’olio ad altissime temperature. Sul web è possibile trovare persino ricette in cui viene spiegato come confezionare prelibatezze a base di rana, la cui testa deve essere tranciata di netto sul tagliere, badando bene che l’esserino respiri ancora, un attimo prima di gettare tutto nel brodo. Piccolo particolare: in Cina l’anfibio viene gustato addirittura a cuore battente, sventrato e servito crudo sul piatto, mentre la bestia con i suoi occhietti osserva chi la mastica. La sua dipartita è lenta e crudele.

E cosa dire poi delle ostriche, reputate alimento chic per antonomasia da accompagnare allo champagne per cene afrodisiache? Esse non sono mica morte allorché le trituriamo tra le nostre fauci. Lo stesso vale per i ricci di mare. La freschezza di questi prodotti è garanzia di ottima qualità.

Rientra tra le prelibatezze nostrane anche il casu martzu, un latticino sardo, caprino, colonizzato dalle larve della mosca del formaggio. I vermi che lo popolano finiscono nei palati della gente mentre ancora si muovono.

Gli occidentali non disdegnano affatto le specialità locali quando viaggiano nei Paesi orientali. È qui che spesso gustano un piatto della Corea del Sud, “sannakji”, a base di tentacoli di polipo (essere straordinariamente intelligente), che vengono tagliati al momento e gettati nella zuppa, tanto che si contorcono nella bocca del consumatore, che intanto sorride. A salterellare sono anche i gamberi ubriachi, “squisitezza” cinese, così che risulta arduo acchiapparli con le bacchette per addentarli.

Richiesto è pure lo ying yang yu, pesce fritto per metà: la testa viene disposta con cura fuori dalla padella, affinché il pesce rimanga vivo. Morirà trenta minuti dopo la cottura, mentre l’avventore se lo pappa. Famosa altresì la zuppa di pipistrello, tipica dell’isola di Guam, nel Pacifico. Il pipistrello viene immerso nel latte di cocco, poi cotto e mangiato ancora agonizzante.

Non ci stupiamo dunque se qualche volta avviene che virus che da sempre dimorano in organismi animali all’improvviso passino all’uomo, capace di azzannare qualsiasi cosa pur di riempire lo stomaco.

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