“Non mi pento del mio gesto, è vero: meriterebbe di morire quella lì”, ci ripete il quarantenne Mario, che ha scritto commenti intrisi di rancore sotto una foto personale postata su Instagram da una politica italiana. Vogliamo capirne un po’ di più riguardo tali followers rabbiosi e lo contattiamo in privato sullo stesso social network per sapere cosa lo abbia spinto ad utilizzare toni tanto sprezzanti. “Faccio ciò che mi pare”, ci risponde.
Anche Matteo, che ha solo 16 anni, invece di studiare o giocare a pallone con i suoi amici, trascorre il pomeriggio navigando sul web e prendendo di mira le donne delle spettacolo, apostrofandole con epiteti quali “cagna”, “puttana”, “lurida”, “schifosa”. Quando gli chiediamo spiegazioni, replica: “Lo fanno tutti, quindi perché io non potrei?”.
Luca, 28 anni, invece, ci attacca, sostenendo che lui abbia la facoltà di esprimere il suo pensiero, dunque anche di denigrare una signora che neanche conosce: “Sei una troia malata, ti brucerei”. Simone è un padre. Posta fotografie in compagnia della moglie e della figlia. Sembra un signore qualsiasi, un tipo perbene. Ma anche lui su internet sfoga la sua frustrazione offendendo celebrities che hanno la stessa età di sua figlia con parole volgari ed augurando loro terribili sciagure.
Sono un vero e proprio esercito gli haters che popolano i social network. Ne incontriamo a centinaia solo esplorando Instagram per qualche ora. Sono uomini e donne di ogni età, persino minori, annoiati, poco impegnati ed insoddisfatti.
“Nella vita quotidiana gli odiatori sono miti, persino deboli. Ciò che realizzano sulla rete rappresenta un iniquo meccanismo di rivalsa. Non esiste un profilo specifico. Può accadere che una persona che è stata tradita se la prende con persone che hanno tradito”, spiega Paolo Giovannelli, psichiatra e direttore del centro ESC- Center for Internet Use Disorders, il quale sottolinea che “dietro l’odio verso un altro essere umano c’è sempre un problema interiore”.
Dunque, l’hater ce l’ha con se stesso e non con la fanciulla che appare sorridente in foto. Schernire gli altri è un modo per ignorare i propri fallimenti. Nessun individuo felice ed occupato trascorrerebbe il suo tempo libero spargendo malvagità sui social media.
Digitare commenti diffamatori può essere anche un modo per farsi notare, secondo Davide, 17 anni. “Chi lo fa è in cerca di attenzioni”, osserva il ragazzo, che sembra volerci dire che i pesanti insulti che ha indirizzato ad una nota showgirl erano solo un tentativo di emergere da quella massa informe di milioni di utenti anonimi che popolano il web, urlando disperatamente a tutti quanti: “Esisto anch’io. Eccomi, sono qui”.
Gli haters, per proteggere la propria identità, si nascondono spesso sotto falsi profili, fabbricati proprio per dare sfogo a quel livore che covano dentro. Talvolta si raccolgono in gruppi, trovando come punto di convergenza non un ideale, bensì la rabbia nei confronti di una persona precisa, che di solito è di genere femminile.
Dietro le pagine di haters o i profili fake che prendono di mira un personaggio pubblico potrebbero nascondersi anche precise strategie di marketing che mirano a danneggiare in modo sleale gli avversari in qualsiasi ambito, dalla politica allo spettacolo. “Fare circolare una cattiva reputazione nei riguardi di un soggetto costituisce un modo per distruggerlo con semplice un click. Tuttavia, è difficile che un vip attacchi un altro vip mediante la creazione di profili falsi, perché rischierebbe di essere scoperto, andando incontro a diversi problemi, in quanto si configurerebbe a suo carico un reato di diffamazione”, spiega Giovanni Ziccardi, docente di informatica giuridica presso l’Università degli Studi di Milano.
“Esistono società di gestione della reputazione dei clienti, che si occupano di ripulire l’immagine social di chi le ingaggia e di aumentarne il numero di seguaci. Di fatto, tali società non possono ricevere il mandato esplicito di screditare un nemico, perché commetterebbero un illecito”, continua il professore.
I bulli della rete non si percepiscono come tali. Vivono nell’incoscienza. Ciò che stupisce è la loro convinzione di non fare nulla di male. Samuele, 16 anni, che ha augurato la morte ad una presentatrice nostrana, ci dice: “Non sono l’unico a scrivere questo genere di cose, non mi sembra nulla di grave. Avrei potuto essere più cattivo, ma mi sono trattenuto”. Gli domandiamo se nella vita reale si sognerebbe mai di offendere una sconosciuta per strada. “Assolutamente no”, esclama deciso.
Insomma, sembra che sul web tutto sia consentito e che la rete sia un universo parallelo privo di regole e di limiti, dove diritti e doveri del vivere civile si annullano per lasciare spazio a condotte che non metteremmo mai in atto in altri ambiti o che realizzeremmo solo se fossimo certi di non pagarne le conseguenze. Purtroppo, ciò che resta identico passando da un piano all’altro, ossia dal reale al virtuale e viceversa, è l’effetto che questa scarica di odio ha su coloro che vengono bullizzati dagli haters, sia persone famose che non.
Secondo Giovannelli, “la strategia migliore per difendersi dagli odiatori è non attivare inutili confronti, ossia non rispondere alle provocazioni”. Un altro strumento efficace di autotutela è la denuncia, soprattutto quando l’opera di demolizione messa in atto lede la credibilità di un personaggio pubblico.
“L’utente non può essere sprovveduto, quindi è necessario che acquisisca la consapevolezza dei rischi che si corrono navigando sul web, che non è tanto diverso dalla strada. Bloccare i profili degli haters e segnalare i contenuti non opportuni che ci riguardano rappresentano due modi immediati per proteggerci”, spiega Giovanni Colletti, comandate della Sezione Indagini Telematiche del nucleo investigativo dei Carabinieri di Milano, il quale sottolinea che gli haters compiono un reato di diffamazione aggravata dall’utilizzo del mezzo telematico che raggiunge in pochi secondi una moltitudine di persone.
Tale fattispecie negli USA non esiste e, dal momento che i server ed i domini medianti i quali vengono compiuti questi crimini sono ubicati in luoghi sottratti alla nostra giurisdizione nazionale, l’hater gode di un’ampia libertà di movimento. Tuttavia, “risalire al proprietario dell’account è possibile: il primo passo è sporgere denuncia al fine di attivare gli organi giudiziari”, specifica il comandante.
Articolo pubblicato su Grazia nel maggio del 2018