“Vuole un passaggio?”, mi domanda un signore indicandomi la sua automobile, che non è un taxi. Si tratta di un’autovettura ordinaria e l’uomo è uno dei tassisti abusivi che a decine affollano le aree delle discoteche ogni notte, cercando di caricare a bordo clienti strappati a chi svolge questa professione con regolare licenza. “No, grazie”, gli rispondo. Pochi passi più avanti un altro uomo, sempre sulla sessantina, mi pone lo stesso quesito, intanto vengo circondata da extracomunitari che vendono sigarette, accendini, rose, spray contro gli insetti e strani oggetti fluorescenti.

Mi trovo nel piazzale antistante la celebre discoteca Old Fashion di Milano, frequentata anche da personaggi dello spettacolo. Regna sovrana l’illegalità in questo spazio di pochi metri quadrati, ma nessuno sembra farci caso. Ci si è come assuefatti alla vista di questo mercato nero a cielo aperto.

Sono centinaia i giovani stipati all’ingresso del locale, incuranti di ciò che succede intorno. Aspettano il loro turno per accedere ad una serata di puro divertimento. Nessuno pensa più a ciò che è accaduto due settimane prima, all’alba di domenica primo luglio, quando in questa stessa area Niccolò, 19 anni, figlio della presentatrice Simona Ventura e dell’ex calciatore Stefano Bettarini, è stato accoltellato undici volte al torace, al braccio, al fianco e alla coscia destri con una lama da venti centimetri, che non è stata rinvenuta.

“Ti ho riconosciuto, sei il figlio di Bettarini, ti ammazziamo”, è stata questa minaccia a segnare il preludio ad una raffica di calci, pugni, testate e pugnalate contro Niccolò, che per miracolo ne è uscito incolume. Ora su quattro dei suoi dieci aggressori grava una pesante accusa di tentato omicidio con le aggravanti dei motivi “abietti e futili”, del porto del coltello nonché delle lesioni causate alla fidanzatina di Niccolò, la quale si è gettata sul ragazzo che era finito a terra per proteggerlo dai colpi.

Episodi di questo genere accadono ogni notte, ma non fanno risonanza finché ad essere coinvolto non è un personaggio noto. A volte oltre ai contusi si contano persino i morti. Come è accaduto nella notte tra il 19 ed il 20 maggio scorsi in provincia di Varese, dove un giovane, Manuel Cantisani, intervenuto per sedare una rissa sorta in discoteca, ha picchiato la testa e si è spento in ospedale qualche ora dopo.

Sabato 7 luglio una diciottenne è stata violentata da un ventenne all’uscita di una discoteca, a Gela, in Sicilia.

La settimana successiva la stessa sorte è toccata ad una turista danese, stuprata da tre uomini nel parcheggio antistante un locale notturno, a Manerba del Garda, in provincia di Brescia.

Sembra un bollettino di guerra: il sabato sera, che dovrebbe essere all’insegna dello svago, lascia sull’asfalto i suoi feriti ed i suoi morti.

L’alcool, le droghe, la voglia di trasgredire, la forza del gruppo che si trasforma in branco, la noia e persino l’invidia sociale che si insinua nell’animo di chi è meno fortunato del figlio famoso di un vip fino alla maturazione del proposito malato di annientarlo, costituiscono un cocktail micidiale, persino letale. Soprattutto se c’è un’arma a portata di mano, ossia in tasca.

È evidente che i sistemi di sicurezza delle discoteche a volte funzionino come una sorta di colabrodo: vi passa di tutto. Anche un ragazzo con un coltellaccio di ben venti centimetri, come quello che ha tagliato le carni di Niccolò. Il metal detector non suona, o qualcuno chiude un occhio, forse per evitare guai.

Ed io stasera sono qui, alla riapertura dell’Old Fashion, per capire cosa sia cambiato rispetto a due settimane fa, dunque se la drammatica rissa in cui Bettarini ha rischiato di morire sia servita almeno a renderci più attenti, ad affinare i nostri metodi di selezione di coloro che possono essere ammessi nei locali pubblici, a verificare con maggiore meticolosità quali arnesi vengono introdotti, perché con la vita non si scherza mai. Neanche il venerdì sera.

In effetti, mi accorgo subito che all’ingresso del locale c’è una squadra, anzi un battaglione di uomini, tra cui anche una donna, per eventuali perquisizioni al gentil sesso, che passano in rassegna uno ad uno coloro che si accingono a varcare la soglia della discoteca. Adesso è il mio turno. Prima di uscire di casa ho messo in borsa una pistola di plastica che contiene uno spray urticante al peperoncino e una lima di metallo per unghie, molto grande ed affilata. Immagino che sarò fermata non appena uno degli addetti alla sicurezza noterà nella mia tracolla questi pericolosi strumenti. Mi preparo a fornire le mie spiegazioni. Eccomi. Vengo sfiorata dal metal detector, che non emette alcun suono, pur essendo carica di oggetti di metallo. Poi mi ordinano di aprire la borsetta, che viene ispezionata con una torcia. Il supervisore non si accorge della pistola che sta sotto il suo naso né della lima. Mi lascia passare. In un baleno sono dentro. Armata. Ed è probabile che non sia l’unica.

È una serata come un’altra, sebbene l’occhio attento percepisca una sorta di tensione tra i buttafuori che circondano la pista da ballo. I clienti sono soprattutto ragazzi di ambo i sessi tra i 18 ed i 25 anni, ma non mancano gli uomini adulti. Si balla, si beve, si ride, e tutto fila liscio dentro quel perimetro. “Bettarini se l’è andata a cercare”, mi dice un ventenne che si trova in fila accanto a me al bar e che frequenta tale posto ogni weekend, allorché gli domando cosa sia successo qualche settimana prima. “È meglio farsi gli affari propri”, aggiunge. Ognuno su questa vicenda ha la sua versione dei fatti. La chiacchiera, passando da una bocca all’altra, muta, trasformandosi in bizzarri racconti. “Qui trovi di tutto, anche le persone non perbene. È normale che sia così”, osserva un altro cliente che mi si avvicina per invitarmi al suo tavolo e con il quale mi fingo agitata per quanto avvenuto a Bettarini.

Un gruppo di ragazze sta seduto su un divanetto accanto, cerco di scambiarci qualche parola. Una di loro afferma che sono abbastanza tranquille lì, che non temono eventuali risse. “Hai visto quei gorilla laggiù? Montagne di muscoli. Non corriamo rischi!”, esclama la ventenne bevendo il suo drink.

All’uscita faccio quattro chiacchiere con un tassista irregolare. Sembra il classico padre di famiglia. Mi chiede dove debba andare e poi mi propone l’acquisto di qualche sostanza. Nel frattempo, un gruppo di giovani litiga. In un lampo arrivano alle mani. Cerco di capire cosa stia avvenendo. “Non ti preoccupare, succede sempre”, mi sussurra qualcuno che si gode lo spettacolo con indifferenza.

Ciò che è accaduto a Niccolò ha fatto tanta risonanza, ha reso i controlli più scenografici, ha aumentato forse il numero delle persone deputate alla sicurezza all’interno del locale, dove solo nella pista centrale ne ho contate dieci. Ha cambiato tutto, perché tutto restasse com’era. Lo spazio esterno è una sorta di giungla, dove gli sgarri fatti dentro le mura del night vengono saldati persino con il sangue e dove dominano indisturbate illegalità e violenze.

Articolo pubblicato su Grazia nel luglio del 2018

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