In Italia sessanta bambine musulmane su cento sono costrette dai genitori ad abbandonare la scuola dell’obbligo tra la classe quinta elementare e la prima media. Un dato preoccupante, aumentato del 300% tra il 2016 e il 2017. Ad avere lanciato l’allarme è stata già nel 2017 la presidente di Acmid-Donna onlus, associazione che tutela i diritti delle musulmane in Italia, già deputata del Pdl, Souad Sbai, presentando un esposto alla Procura di Roma affinché indaghi su questa situazione.
Sbai, mediante una serie di controlli incrociati tra i Paesi di origine, che hanno confermato il non rientro dall’Italia di migliaia di bambine, ed il nostro Ministero dell’Istruzione, che ha attestato la mancata frequentazione della scuola dell’obbligo da parte delle stesse, è riuscita a portare a galla la condizione in cui versano migliaia di minori in Italia.
Secondo il Rapporto nazionale 2014/2015 “Alunni con cittadinanza non italiana”, pubblicato nel marzo del 2016 a cura del Miur e della fondazione Ismu, l’Italia si colloca al secondo posto in Europa, dopo la Grecia, tra le nazioni con le più elevate percentuali di popolazione immigrata con livello minimo di titolo di studio (49,7%).
“Rispetto all’abbandono scolastico, l’Italia ha il primato negativo in Europa (con il 35% di abbandoni tra i giovani stranieri), seguita dal Portogallo e dalla Grecia”, si legge sul rapporto, che sottolinea l’emergere di quella che definisce “una grave questione giovanile, piuttosto preoccupante soprattutto nel Sud Europa”.
Gli “early school leavers”, ossia i giovani che lasciano gli studi precocemente, sono destinati a diventare Neet (Not in employment, education and training), termine con il quale si indicano gli individui con un’età compresa tra i 15 ed i 29 anni che non studiano e non lavorano. Secondo i dati del Miur su frequenze e abbandoni scolastici, pubblicati nel febbraio del 2016 e riferiti all’anno scolastico 2014/2015, le studentesse egiziane, senegalesi, bangladesi e pachistane alla soglia dell’adolescenza si ritirano da scuola con più frequenza rispetto ai coetanei maschi.
“La prima rete di vigilanza sul rispetto dell’obbligo scolastico è costituita dalla scuola stessa. Tuttavia, non è facile ricercare e controllare un minore all’interno di una comunità chiusa e refrattaria alle leggi come quella islamica, nella quale un bambino può essere trasportato improvvisamente da una nazione all’altra”, spiega Vincenzo Cotroneo, docente di cultura islamica dell’Università della Calabria. Ecco perché le segnalazioni da parte dei professori o degli organi competenti restano lettera morta ed il numero delle non scolarizzate aumenta, una nuova generazione di donne non istruite e per questo non libere.
“Alle bambine musulmane viene negata la possibilità di frequentare la scuola dell’obbligo sia per impedire loro la socializzazione, avvertita come un rischio di devianza dal credo islamico, sia per prepararle al ruolo ritenuto a loro più confacente, ossia quello di mogli. La scuola non fornisce solo istruzione, ma anche autodeterminazione, proibita alle islamiche”, sottolinea Sbai.
Nella cultura islamica la donna è sottomessa all’uomo che ne preordina il destino e decide in sua vece. È il padre a scegliere il marito per la figlia. Meno istruita sarà la fanciulla e più sarà agevole assoggettarla.
“Le bambine vengono allontanate dai banchi prima dell’inizio dell’adolescenza, al massimo a 12 anni, perché il proseguimento ulteriore degli studi le rende più portate a ribellarsi ai diktat della famiglia. Non è un caso che le ragazze che ci chiedono aiuto abbiano un’età non inferiore ai 15 anni”, continua Sbai.
Fatima El Amrani, 22 anni, presidente dei giovani musulmani (Calabria) nata in Marocco e trasferitasi in Italia all’età di due anni, rappresenta un’eccezione: si è recata a Londra per frequentare l’università ed i suoi genitori l’hanno sempre esortata a coltivare i suoi sogni. “Sono fortunata perché la mia famiglia desidera vedermi laureata piuttosto che con una fede al dito”, afferma Fatima, che ci ha raccontato le storie di numerose ragazze alle quali non è stata data alcuna possibilità di scegliere.
Come Zahra, sedicenne di Reggio Emilia, costretta a dormire sul marciapiede dopo la fuga da quell’ambiente domestico in cui avrebbe dovuto essere al sicuro. Suo padre l’aveva obbligata ad abbandonare gli studi e l’aveva promessa ad un uomo molto più grande di lei, sequestrandole i documenti per impedirle di andare via. Zahra è riuscita a raggiungere Torino, dove attualmente vive di espedienti.
Khawla, sedicenne di Treviso (nata in Italia), invece, non è riuscita a eludere le nozze. I suoi genitori non le hanno consentito di studiare, hanno scelto per lei un marito in Marocco e l’hanno spedita lì come un pacco. Fatima ha conosciuto decine di minori che, dopo essersi sottratte ai matrimoni forzati, rimaste sole e prive di un titolo di studio, finiscono nelle maglie della prostituzione.
Quello delle nozze coatte è un fenomeno che ci riguarda da vicino. Persino nella nostra società allergica ai legami, dove i matrimoni sono in costante diminuzione, migliaia di minori mettono su famiglia. Sono 15 milioni le bambine (una ogni 7 secondi) che annualmente nel mondo vengono date in spose a uomini adulti che le plasmeranno a loro piacimento. Secondo gli ultimi dati dell’Unicef, nel mondo 700 milioni di donne si sono accasate prima di avere compiuto 18 anni e più di una su tre prima dei 15. A livello globale un’adolescente su 7 è attualmente coniugata. Se il numero di nozze precoci crescerà ai ritmi attuali, nel 2030 avremo 950 milioni di donne maritate in tenera età.
“Non abbiamo dati certi riguardo questa pratica, che in Italia è quasi del tutto sommersa, salvo sporadici casi in cui le bambine trovano il coraggio di opporsi”, ci spiega Sbai, che ci racconta di una delle ragazze di cui si è occupata, Nosheen Butt, 17 anni, la cui madre, Begum, 46, era stata lapidata nel giardino di casa, a Novi di Modena, perché aveva tentato di salvare la figlia da un matrimonio combinato. Alla fine, ella ci è riuscita, ma a costo della vita. Coloro che cercano di svincolarsi dal proprio destino vengono ripudiate, talvolta uccise, in quanto costituiscono una vergogna per i familiari.
Ed è proprio l’ambiente scolastico quello che più di ogni altro può rappresentare un baluardo contro simili soprusi.
“Lo definiamo matrimonio precoce, ma di fatto è uno stupro legalizzato che lascia su queste donne cicatrici difficili da rimarginare”, dichiara Andrea Iacomini, portavoce dell’Unicef Italia. Sbai parla di “pedofilia legittimata”.
Le ripercussioni psicologiche sono devastanti. Inoltre, ogni anno 70 mila ragazze tra i 15 ed i 19 anni muoiono a causa di complicazioni insorte durante la gravidanza. I nati da madri minorenni hanno poi il 60% di probabilità in più di perire in età neonatale.
Ecco perché allontanare le bambine musulmane dalla scuola significa talvolta condannarle a morte. Consentire che questo avvenga equivale all’essere complici.