Refrattari a qualsiasi genere di regola, i migranti giunti clandestinamente in Italia dai Paesi in cui l’epidemia è fuori controllo e obbligati perciò alla quarantena, dopo avere scatenato rivolte spesso molto violente, scappano dai centri di accoglienza straordinaria in cui si trovano e si disperdono sul nostro territorio diventando mine impazzite, micidiali vettori di infezione pronti a propagare il covid-19 in lungo e in largo. Avviene ogni dì.
Essi non accettano nessun tipo di norma o limite, quantunque temporaneo, si ribellano alle nostre leggi, non mostrano alcuna intenzione di volersi adeguare alla nostra giurisdizione né di rispettarci, sebbene li manteniamo e li abbiamo accolti e ancora non li rispediamo da dove provengono, provvedimento che sarebbe necessario.
La fuga dei migranti contagiati e dunque contagiosi nonché di soggetti potenzialmente infetti dalle strutture in cui sono stati condotti non è soltanto assurda ma anche fortemente indicativa di un dato di fatto che non possiamo né dobbiamo più negare: gli extracomunitari non intendono integrarsi. Inutile discettare di integrazione e politiche volte a favorirla. Lo facciamo da lustri e senza risultati.
Vengono qui in barba ad ogni legge, ossia illegalmente, e codesto modus vivendi caratterizza la loro permanenza sulla penisola. Non ci si converte al vivere civile da un giorno all’altro: esso costituisce uno stile di vita interiorizzato durante il percorso dall’infanzia all’età adulta.
Chi fugge dai centri di accoglienza è un criminale che mette in pericolo la salute pubblica. Allorché gli italiani pascolavano il cane poco più in là del pianerottolo di casa venivano multati. Se i migranti se la danno a gambe levate dai luoghi in cui devono stare isolati, cosa facciamo? Ne accogliamo altri.
Noi porgiamo il fianco. E questo genera un malcostume ancora più radicato e diffuso. Inestirpabile.