Se non conoscessi i suoi luccicanti e gaudenti trascorsi, giurerei che l’uomo di nero vestito che mi attende davanti al portone per accompagnarmi cortesemente in casa sia un rassicurante e pio sacerdote. Sul suo viso non vi è proprio quello che potrei definire un sorriso, si tratta piuttosto di un’espressione permanente di placida serenità.
La sensazione di essere al cospetto del prelato non mi abbandona neanche quando Lele Mora, agente dei vip più famoso d’Italia, mi fa accomodare nel soggiorno dell’appartamento di sua figlia, Diana, dove Lele è solito trascorrere parecchio tempo, insieme ad una ciurma di cani salvati dalla strada e al nipotino. Non siamo soli. Il televisore è acceso, sebbene resti muto. Rilassato sul divano c’è il cantante Marco Carta, che di recente è stato coinvolto in una faccenda giudiziaria relativa ad un furto di magliette alla Rinascente di Milano, refurtiva trovata nella borsa di una signora che quel dì era con lui. Regna nella stanza il sentimento della pace.
Nessuno sembra essere turbato da angosce terrene, tranne un cagnolino che davanti alla vetrata mugola perché desideroso di raggiungere i suoi compagni in giardino, cosa che gli viene permessa. Continuano ad arrivare telefonate, Lele fornisce consigli, prende appuntamenti. Non sembra affatto, come si vocifera, fuori dal giro. Semmai è fuori dal Bel Paese.
“Sto lavorando in Albania, dove ricopro il ruolo di direttore generale di Top Channel, in Bulgaria e in Georgia, dove curo le tv di Stato sia come autore che come agente. Mi sono arrivate queste proposte e le ho accettate. In Italia continuo a rappresentare qualche artista, come Marco Carta”, spiega Mora, il quale, notando che il cantante emette una tosse quasi impercettibile, subito raggiunge la cucina per poi consegnargli un barattolo di miele messo da parte per lui.
“Questo lo ha prodotto mio fratello, me lo regala ogni settimana”, rimarca il manager nell’insospettabile veste di Nonna Papera. La vita di Lele è una parabola. Nato e cresciuto in una famiglia di contadini veneti, a Bagnolo di Po, in provincia di Rovigo, Mora studiò per lavorare nell’ambito della ristorazione e completò la sua formazione in un monastero di gesuiti. Il suo primo impiego fu come cuoco. Conduceva un’esistenza ordinaria: una moglie, due figli, un maschio ed una femmina, un casa modesta ma dignitosa.
Negli anni Ottanta la svolta: Lele, da assistente di Loredana Bertè e Mia Martini, sue grandi amiche, divenne agente e talent scout di successo, arrivando a curare l’immagine e gli interessi di centinaia di personaggi televisivi, molti dei quali devono la popolarità proprio a lui. “Riconosco il talento dalla prima occhiata. È qualcosa che si percepisce. Non mi sono mai sbagliato”, sottolinea l’uomo senza falsa modestia.
Tuttavia, la grandezza di Lele sta anche nell’avere fatto di persone qualunque, prive di qualsiasi sorprendente dote, delle star. Fino a qualche anno fa chi ambiva ad inserirsi nel mondo dello spettacolo si rivolgeva a Mora. “Sotto il mio ufficio c’era la fila di ragazzi e ragazze. Ne arrivavano circa trecento al dì da tutte le parti della penisola ed io mi negavo, non avevo il tempo di vedere tutti”, specifica.
Se Beppe Grillo è riuscito a portare in politica il giovane della porta accanto, senza arte né parte, senza competenze né esperienza, Lele Mora, ben prima, è riuscito a portarlo nel piccolo schermo, segnando la rivincita del cittadino comune che finalmente si pone sotto le luci della ribalta. Mentre il manager mi racconta i lustri dorati, alla tv appare il premier Giuseppe Conte, alle cui spalle si intravede Rocco Casalino, il suo portavoce. Sono a New York. Pure Rocco faceva parte della scuderia di Mora.
“Lo conobbi negli studi di Mediaset, aveva da poco partecipato al Grande Fratello, mi accorsi che il tipo aveva delle potenzialità, non era un idiota. Infatti, eccolo lì. Non ha un ruolo da poco e so che Conte lo stima molto e per promuovere la propria immagine si affida a Rocco, il quale di comunicazione se ne intende”, osserva Lele.
Intanto il cellulare continua a squillare, qualche volta l’agente dei vip rifiuta le chiamate e prosegue nel suo racconto, altre volte si scusa e risponde. “Sto aspettando una telefonata importante, quella del medico, a breve saprò se sono affetto da un tumore maligno o meno”, mi dice Lele.
Pronunciare quelle parole non turba la sua stoica calma, sembra quasi che non stia parlando di se stesso. Tuttavia i suoi occhi appaiono lucidi.
Con lo stesso distacco Mora ricorda i 407 giorni trascorsi dietro le sbarre, in regime di isolamento. Nell’istituto penitenziario di Opera la sua cella era accanto a quella di Olindo Romano, condannato all’ergastolo per i delitti relativi alla strage di Erba. “Il cappellano mi rivelò di essere certo dell’innocenza di Olindo e di sua moglie Rosa. Non ho mai conversato con Romano, sebbene le nostre celle fossero adiacenti. Lo vedevo pulire il corridoio ogni pomeriggio. Poiché era rimasto al verde, gli veniva permesso di svolgere piccoli lavoretti per mantenersi. Lo aiutavo dandogli il mio pasto.
In gattabuia persi l’appetito e pure 60 kg”. Numero di matricola BB391100059, cella 25, condanna per bancarotta fraudolenta, all’improvviso i riflettori si spensero, il mondo aureo di Mora che sembrava non avesse fine si sgretolò, ed egli passò dai party e dal lusso sfrenato all’austerità tetra e spoglia della prigione. “Tutte le mie cose erano chiuse in una sacco nero di plastica. Mi fu consentito di tenere soltanto l’essenziale. La prima notte non mi pareva vero di trovarmi lì, su quel materasso vecchio, coperto da un lenzuolo ruvido come carta vetrata”.
“Ho fatto tanti errori, come tutti. Eppure non ho rimpianti”, sospira Mora. “Il peccato più grande è l’arroganza. Ne ho avuta, mi sono sentito invincibile”, ammette il manager, che attribuisce la stessa colpa a Fabrizio Corona. “La detenzione lo ha peggiorato, ha sviluppato una rabbia che lo sta consumando”, afferma a proposito del re dei paparazzi, che un tempo fu il suo segretario.
Poi parliamo di Vladimir Putin, “nonostante la freddezza apparente, lo considero un amico affidabile”, di Mara Carfagna, “fui io a spingerla ad accettare la proposta di Berlusconi di entrare in politica”, di Matteo Renzi, “l’ho incontrato più volte, sa il fatto suo”, di Fidel Castro, “lui e sua moglie sono stati come fratelli per me, persone semplici e gioviali. Che magnifiche serate trascorse insieme!”.
Il telefonino trilla ancora, stavolta è il dottore. È l’ora del verdetto. “Sì, il cancro è maligno ed è situato tra i polmoni ed i reni”, mi comunica Lele con gli occhi tremolanti di lacrime che tuttavia non vengono giù. “Adesso farò quel che c’è da fare. Ma non avrei voluto dare questo nuovo dispiacere ai miei figli, non se lo meritano”, sussurra l’imperturbabile omone. Abbandono l’abitazione con il medesimo spirito con cui si esce da una chiesa, è un senso di riconciliazione con il mondo intero, di armonia profonda, di consapevolezza. Mai diavolo fu più angelico di Lele Mora, penso.
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Articolo pubblicato su Libero del 25 settembre 2019