In Italia ben 4 milioni di giovani tra i 25 e i 40 anni abitano ancora con mamma e papà, come emerge dall’ultimo dossier di Caritas Italiana “Casa, bene comune. Il diritto all’abitare nel contesto europeo”.
Il governo giallorosso ha vietato raduni, riunioni e assembramenti di qualsiasi tipo e ha sigillato attività di vario genere al fine di limitare il contagio da coronavirus praticando il distanziamento sociale, tuttavia se fuori casa mantenere un certo distacco gli uni dagli altri è facile, dentro è spesso impossibile, poiché si vive gomito a gomito. Risulta infatti che il 24% delle famiglie italiane debba fare i conti con il sovraffollamento nelle abitazioni, percentuale di gran lunga superiore alla media dei Paesi Ocse (16%) che colloca lo stivale sul podio delle Nazioni europee con il più alto numero di individui i quali campano sotto il medesimo tetto, talvolta troppo stretto.
Ecco la ragione per cui chiudere coattivamente tra le mura domestiche gli abitanti della penisola non argina la diffusione dell’epidemia: è proprio lì infatti che il Covid-19 viene trasmesso da un soggetto all’altro cosicché tutto il nucleo familiare si infetta. Tanto più l’appartamento è angusto e stipato tanto più è agevole e veloce la propagazione del virus. Insomma, sembra che di questi tempi convenga stare da soli e non mettere su famiglia e perciò possono ritenersi fortunati i quasi 9 milioni di cittadini che non hanno coinquilini. Secondo la teoria dell’evoluzione di Charles Darwin, non sopravvive la specie più forte, bensì quella maggiormente propensa ad adattarsi al cambiamento. In questo caso potremmo affermare che a sopravvivere non saranno gli accasati, piuttosto i single.
Eppure per poter godere di un nido tutto per sé occorre disporre di risorse economiche appropriate, quindi di un lavoro e di entrate sicure, e oggi, alle prese come siamo con una crisi economica destinata ad aggravarsi da qui in avanti, in pochi possono permettersi determinati lussi. Dunque, obtorto collo, si sceglie di restare con i genitori fino ai 40 e più anni, rinunciando al sogno dell’indipendenza. La disoccupazione provocata dalle misure restrittive adottate nell’ambito della lotta al corona ha colpito soprattutto i giovani, molti dei quali, avendo perso l’impiego e persino la speranza di racimolare un lavoretto che gli consenta di essere autonomi, hanno fatto ritorno al focolare e molti altri prenderanno la stessa sofferta decisione.
Il problema abitativo, già allarmante sul nostro territorio, si sta trasformando in una vera e propria emergenza, pure perché in casa, che lo vogliamo o meno, tra aperture e successive chiusure, siamo obbligati a permanerci in attesa di un vaccino che salvi il pianeta dalla pandemia.
A rendere scomoda la convivenza in locali non sufficientemente ampi non è soltanto l’impossibilità di rispettare il distanziamento sociale. La coabitazione forzata in spazi ristretti aumenta l’aggressività, quindi la litigiosità tra coloro che occupano lo stesso ambiente 24 ore su 24, priva della indispensabile privacy l’individuo, favorisce l’esplosione della violenza, esacerba gli animi e rende la quotidianità di chi non può traslocare altrove un vero e proprio inferno.
In questi mesi se c’è una cosa che abbiamo compreso è forse proprio l’importanza della casa, bene indispensabile oltre che diritto fondamentale della persona. “Stai a casa” è diventato uno slogan non soltanto governativo. È l’esortazione più ripetuta da marzo. Una sorta di mantra. Tuttavia, mentre pronunciavamo codesta frase pochi di noi hanno rivolto il pensiero a quella fetta di popolazione che non dispone di un rifugio o a quelle famiglie, che risultano essere addirittura 9 milioni in Italia, le quali risiedono in alloggi inadeguati, minuscoli, fatiscenti, superaffollati e gravemente insalubri. “Stare a casa” non le salva, semmai le pone in pericolo.