Persino in uno Stato che salva le banche e si dimentica troppo spesso della povera gente può verificarsi ogni tanto un lieto fine. Anzi più che lieto, è dolce e amaro. Questa non è una fiaba. Non ci sono principi azzurri né principesse, eppure i mostri cattivi non mancano. Difficile riconoscerli quando indossano il loro abito ufficiale. Più facile credere che i cattivi siano altri: gli umili. Gli indifesi.
Qualche giorno fa lo Stato ha finalmente pagato il suo debito, versando 6,5 milioni di euro a Giuseppe Gulotta, 59 anni, muratore di Certaldo, in provincia di Firenze, per ingiusta detenzione.
La vita di Giuseppe Gulotta è una tragedia, nonostante l’uomo non abbia mai perso fiducia ed ottimismo, ed è questo, in effetti, l’unico vero miracolo di tutta la vicenda, che vi abbiamo già raccontato nel numero di Libero di venerdì 2 dicembre scorso. “Sono innocente”, il nuovo programma del sabato sera di raitre, condotto da Alberto Matano, nel corso della puntata andata in onda sabato scorso, si è occupato di Gulotta, intervistando lui stesso, la moglie, il figlio ed il suo avvocato, i quali hanno ripercorso insieme tutta la vicenda giudiziaria che ha come protagonista Giuseppe dal 1976, quando viene condannato all’ergastolo per duplice omicidio, all’età di 18 anni, fino al 2012 quando, dopo 22 anni di carcere e 36 anni di vita trascorsi da assassino, è stato proclamato innocente per non avere commesso il fatto. Nel 2015 la Corte di Appello di Reggio Calabria gli ha riconosciuto un indennizzo di 6,5 milioni di euro a fronte dei 56 che il suo avvocato, Pardo Cellini, aveva chiesto come risarcimento per i 22 anni di carcere da innocente.
Ma ripercorriamo la storia di Gulotta.
Durante la notte del 27 gennaio del 1976, due giovani carabinieri, Carmine Apuzzo e Salvatore Falcetta, mentre dormivano, furono crivellati a colpi di arma da fuoco nella casermetta Alkamar all’interno della stazione dei carabinieri della località turistica di Alcamo. A dare l’allarme fu la polizia di scorta al segretario del MSI, Giorgio Almirante, che stava passando sulla statale alle ore sette del mattino seguente.
All’inizio furono sospettate le brigate rosse, poi si seguì la pista mafiosa, alla fine, furono condannati quattro giovani alcamesi, Giuseppe Gulotta e Giovanni Mandalà all’ergastolo, Gaetano Santangelo e Vincenzo Ferrantelli a 20 anni. Giuseppe Vesco, un carrozziere che aveva confessato la strage e accusato i quattro ragazzi, salvo poi ritrattare e accusare i militari, fu trovato impiccato in carcere pochi mesi dopo, in circostanze misteriose dato che Vesco aveva solo una mano.
In seguito alle dichiarazioni rese ai magistrati da un ex brigadiere, Renato Olino, il quale raccontò che le confessioni dei giovani erano state estorte per mezzo di atroci torture, dall’elettroshock all’annegamento simulato, dai pestaggi alle minacce di morte, nel 2011 si aprì la revisione del processo fino ad arrivare all’assoluzione piena dei condannati dopo 36 anni dai fatti.
La strage di Alcamo, tuttora irrisolta, rappresenta uno dei più gravi casi di errore giudiziario nonché di ingiusta detenzione nella storia italiana.
Gulotta, in attesa che lo Stato gli liquidasse i 6,5 milioni di euro che gli ha riconosciuto, aveva contratto debiti con la banca, in quanto aveva subito anche un ingiusto licenziamento a causa delle numerose assenze dovute alla necessità di essere presente in tribunale. Adesso, a distanza di 5 anni dalla sentenza di revisione emessa dalla Corte di Appello di Reggio Calabria il 13 febbraio del 2012, Gulotta è stato risarcito, sebbene nessuno possa restituirli ciò che gli è stato rubato: la giovinezza, i suoi sogni, tra cui quello di entrare nella guardia di Finanza, il tempo con i suoi figli, la sua vita stessa.
“A chi mi chiede se 6 milioni siano pochi o bastino, rispondo che nessuno può calcolare il costo di un solo giorno di vita strappato via. Questi soldi mi alleggeriscono, ma non alleviano il mio dolore per l’ingiustizia subita”, spiega Gulotta, il quale non nutre rabbia né risentimento. “Io ho sempre continuato a credere nella giustizia e ho ancora questa fiducia. Sarei ingiusto se me la prendessi con il sistema, o con la magistratura, o con i carabinieri. Ognuno è responsabile delle sue azioni e le colpe di una persona singola non possono ricadere su un’intera categoria”, commenta Giuseppe, il quale ha le idee abbastanza chiare sul come utilizzare questi soldi: saldati i debiti con la banca, acquisterà una casa per lui e la moglie, aiuterà i suoi figli, i nipoti, non si dimenticherà neanche di coloro che in questi anni gli hanno teso una mano, incluso il parrocco di Certaldo, al quale ha intenzione di offrire un contributo per la creazione di uno spazio di ritrovo per i giovani del suo paese.
“Cercherò di viaggiare, di fare ciò che non ho potuto fare in questi anni perché costretto dentro un’angusta cella. Mi sono già fatto un regalo: un’automobile che sognavo da molti anni, è stata un’occasione”, racconta felice Giuseppe.
Un importante obiettivo è la realizzazione entro fine febbraio di una fondazione a nome dello stesso Gulotta, che promuova la revisione dei processi in cui possano essere stati violati i diritti della difesa. Il muratore di Certaldo pensa a Massimo Bosetti, ad Alberto Stasi, ad Olindo Romano e Rosa Bazzi. “Riguardo questi casi, io nutro alcuni dubbi e me ne interesserò direttamente insieme ai miei avvocati”, conclude l’uomo.
Articolo pubblicato su Libero il 16 gennaio 2017