Ha suscitato scandalo generale domenica sera, nello studio televisivo di Non è l’Arena, la notizia che l’ex consigliere di Stato e docente Francesco Bellomo abbia ripreso ad insegnare all’interno della scuola Diritto e Scienza, che prepara individui già laureati al concorso in magistratura.
Tutti i partecipanti al dibattito si sono proclamati indignati, persino chi si definisce “garantista”, termine che indica colui il quale riconosce il valore supremo del principio della presunzione di innocenza, contenuto nell’art.27 della Costituzione, che stabilisce che l’imputato non è considerato colpevole fino a sentenza definitiva (terzo grado di giudizio).
La domanda sorge spontanea: se una persona è presunta innocente fino a sentenza passata in giudicato, ossia fino a quando la sua colpevolezza non sia stata legalmente accertata (art.6 Convenzione europea dei diritti dell’uomo), non è illegittimo negare al professore Bellomo la possibilità di lavorare e guadagnarsi da vivere? Quantunque il professore, esaurite tutte le vie di ricorso, venisse dichiarato “colpevole” e condannato, ciò non cancellerebbe il fatto che sia stato ingiusto, mentre era in corso il procedimento, impedirgli di insegnare, cosa che peraltro ha dimostrato di sapere fare egregiamente: dalla sua scuola per decenni sono usciti i magistrati che hanno superato il concorso con il punteggio più alto, pure in gran numero. Quindi la validità della scuola nonché del metodo di insegnamento di Bellomo non è in discussione.
Impedire al docente di guadagnarsi il pane compiendo ciò che sa fare comporta il vilipendio dell’articolo 4 della nostra Costituzione, il quale sancisce che “la Repubblica riconosce a TUTTI I CITTADINI il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendano effettivo questo diritto. Ogni cittadino ha il DOVERE di svolgere, secondo le proprie possibilità e la propria scelta, un’attività o una funzione che concorra al progresso materiale o spirituale della società”. Non sono escluse le persone presunte innocenti che sono sotto precedimento, ossia gli imputati.
Inoltre, qualche settimana fa il professore ha inaugurato le lezioni e gli aspiranti giudici che hanno preso parte al primo incontro telematico sono stati decine e decine, forse oltre un centinaio. Alcuni di questi studenti hanno domandato a Bellomo se sussista il rischio che il corso venga sospeso e si sono mostrati preoccupati dalla eventualità che al docente vengano per la terza volta inflitti gli arresti domiciliari. Cosa ci dice tutto ciò? Che c’è gente che vuole frequentare i corsi di Bellomo. Negare a quest’ultimo il sacrosanto diritto al lavoro comporta la negazione pure di un altro diritto, quello degli studenti di scegliere il proprio docente.
Ecco perché io sostengo che, quantunque ciascun individuo possa farsi una propria idea riguardo l’opportunità morale o meno del comportamento posto in essere dal docente, il quale si è fidanzato in circa un quindicennio con 8 delle sue studentesse e ha sottoposto a borsisti e borsiste un dress-code (cose che non costituiscono reato), è fuori di dubbio che in uno Stato di diritto il quale salvaguarda le garanzie dell’imputato e il principio della presunzione di innocenza non possa accadere che ad un soggetto qualunque sottoposto a procedimento venga impedito di lavorare.
Ne abbiamo già abbastanza di assistiti che devono loro malgrado campare chiedendo il sussidio di cittadinanza.
Stupisce e allo stesso tempo indigna che personaggi che si fanno paladini del garantismo si proclamino contrari al fatto che Bellomo svolga la sua professione. Concludo il ragionamento sottolineando che gli allievi, maschi e femmine adulti e vaccinati, non sono costretti a seguire le lezioni di Bellomo, che non è docente in una scuola pubblica dell’obbligo. Bensì volontariamente si affidano alla sua competenza in ambito giuridico al fine di prepararsi all’esame di Stato. Perché chiunque di noi dovrebbe opporsi a questa scelta libera e individuale?