Lo diceva pure il grande Totò: i parenti sono come le scarpe, più sono stretti, più fanno male. Non possiamo vivere con loro e a volte non possiamo vivere neanche senza di loro, tuttavia non vi è dubbio che mantenersi ad una debita distanza dal parentado giovi alla salute sia fisica che mentale.
La famiglia costituisce la microsocietà naturale, dunque è impossibile che vi si vada d’accordo con tutti, accade di frequente che ci si sopporti a vicenda, quasi con rassegnazione, dato che cugini, zii, fratelli, padri e madri hanno questo difetto qui, ossia non si possono cambiare: non gli scegliamo, ci capitano. Per caso e altresì per sfiga.
Invidie, gelosie, sentimenti di rancore, quando non addirittura di odio, vengono covati e ribolliscono all’interno del nucleo familiare, dove accadono i peggiori delitti e pullulano i più scandalosi segreti. Certo è che con alcuni congiunti ci sembra di avere in comune solo il sangue e qualche cromosoma. Si potrebbe obiettare: “E ti pare poco?”. Sì, è poco, poiché ciò che ci rende simili e affini, avvicinandoci, è la condivisione dei pensieri e delle emozioni. Ove questo manchi, si diventa perfetti estranei: sconosciuti che siedono alla stessa tavola, mangiano le stesse cose, dormono sotto lo stesso tetto, eppure non sanno un bel niente l’uno dell’altro e, allorché si incrociano lungo l’angusto corridoio, si gettano un’occhiata veloce e distratta pensando: “Ma questo chi diavolo è?”.
Si può possedere un acido desossiribonucleico similare ma avere idee, visioni, mentalità, diametralmente opposte. Proprio come succede in casa Borgonzoni, a Bologna, dove il babbo Giambattista è iscritto al Pd e scende in piazza per contestare Matteo Salvini e la Lega, e la figlia Lucia è senatrice leghista nonché candidata alla presidenza della Regione Emilia Romagna per il Carroccio. Di certo codeste divergenze non sussistono all’interno delle famiglie Cuore e Mulino Bianco, ed il motivo è semplice: questi modelli sono finti, cioè non esistono nella realtà, dove sovente genitori, figli, fratelli e sorelle si deludono a vicenda, si fanno la guerra, si voltano le spalle, si fanno lo sgambetto e addirittura si accoltellano.
Almeno quella Borgonzoni è una famiglia democratica: ognuno esprime le sue convinzioni politiche in libertà e rispetta quelle altrui. Alla fine, ciò che una figlia davvero desidera ricevere da chi l’ha messa al mondo è amore e non consenso alle urne. Ed un figlio si può amare e sostenere pur non sposandone le scelte politiche e non. Anzi, è forse proprio in questo modo che si manifesta la grandezza del sentimento genitoriale. Se Giambattista rinnegasse Lucia in quanto esponente della Lega, allora sarebbe un vero stronzo nonché un papà snaturato. Invece, egli, che non baratta le sue opinioni e già questo è un grande merito, afferma: “A mia figlia non contesto nulla. Le auguro ogni successo possibile pur cavalcando un cavallo sbagliato e mi pare mio dovere metterla in guardia su questo errore”.
Va da sé che Giambattista non ha la minima intenzione di votare a favore di Lucia, leghista. E quest’ultima se ne è già fatta una ragione. Non che la cosa non susciti qualche imbarazzo, ma chi se frega? E poi vuoi mettere la soddisfazione di vincere quando pure il tuo babbo sosteneva che stavi per compiere una cazzata? Farcela quando tutti, parenti inclusi, ti supportano e hanno fiducia in te è bello, ovvio; ma farcela quando nessuno, genitori inclusi, ha creduto in te è divino. Ed è probabile che tale sublime piacere spetterà a Lucia, la quale non ha bisogno della spinta di papà per essere eletta. Anche perché, parliamoci chiaro, la spinta che possono dare i familiari è spesso uno spintone, che termina con un capitombolo e la rottura di qualche legamento. Affettivo, si capisce. Molto meglio camminare da soli, contando sulle proprie di forze.
Gli individui migliori che ho incontrato nella mia esistenza sono quelli che non hanno avuto l’aiutino di papà, non erano figli di questo o quel signore, non vivevano all’ombra di pesanti ed ingombranti nomi, che ne spianavano il cammino soltanto pronunciandoli. Erano semmai figli ribelli, o di nessuno, persone che hanno usato la propria testa, che sono state il dispiacere e la vergogna della famiglia, le pecore nere, trasformatesi poi in mosche bianche, irriverenti, diverse e perciò reputate “sbagliate”. Dai consanguinei si possono imparare tante cose: possiamo imparare ad essere come loro e anche a non essere come loro, osservandoli con spirito critico tuttavia senza severità. Poiché la condivisione del sangue ci impone quantomeno la clemenza. Ossia il perdono.
Tra i pargoletti che hanno disatteso le aspettative dei babbi, che hanno trasgredito, scegliendo altre vie e rifiutando il modus vivendi e l’educazione del pater familias, c’è pure Antonio Piccirillo, figlio del boss della camorra Rosario Piccirillo. Antonio, 23 anni, lo scorso maggio ha manifestato in piazza a Napoli contro la mafia. “Amate sempre i vostri padri, ma abbiate il coraggio di dissociarvi da loro”, ha urlato il giovane, esortando i ragazzi come lui a disubbidire, ossia ad essere liberi.
Articolo pubblicato su Libero il 20 novembre del 2019