A breve in Italia potremmo ritrovarci in cattedra maestri in gonna e magari – perché no – pure tacchi a spillo e reggiseno. La bizzarra tendenza ha preso piede in Spagna alla fine dello scorso anno, ma è soltanto nelle ultime settimane che la scelta dei docenti iberici di recarsi a lezione indossando capi di abbigliamento tipicamente femminili sta creando molto rumore anche al di là delle frontiere spagnole spingendo altri educatori a presentarsi in aula abbigliati da donna. L’obiettivo, almeno nelle intenzioni, dovrebbe essere virtuoso, ossia quello di combattere le discriminazioni. Come? Mediante il messaggio, diffuso sui social network con tanto di hashtag dedicato (#LaRopaNoTieneGenero) e fotografia dei professori in tulle e pizzi: gli indumenti non hanno genere. Quale sia il filo conduttore che lega il gonnellone e la lotta “contro gli stereotipi di genere per l’ottenimento di una maggiore libertà di espressione”, tuttavia, non è molto chiaro.

Sappiamo solamente che il movimento in questione è nato nel novembre del 2020 su iniziativa di Jose Piña, professore di matematica, il quale ha postato una foto di se stesso in gonna in segno di protesta dopo l’espulsione di un alunno che era giunto in classe non con i pantaloni, bensì con una gonnellina. Il mese scorso altri due insegnanti di una scuola elementare, Manuel Ortega e Borja Velaquez, si sono infilati la gonna allo scopo di denunciare un episodio di bullismo che ha visto come vittima un loro discente, il quale aveva ricevuto insulti omofobi sempre a causa di indumento.

Educare al giorno d’oggi è forse divenuto troppo complicato, pochi sono in grado di farlo, quindi si predilige ricorrere a questo tipo di pagliacciate da social network per sensibilizzare i ragazzi inducendoli al sacro rispetto dell’altro, a prescindere da come questi sia vestito. Ortega e Velaquez dichiarano di essere intenzionati a “promuovere la tolleranza” grazie all’uso della sottana. Un po’ quello che sta facendo il cantante Fedez in Italia mettendo lo smalto. Eppure siamo sicuri che laccando le unghie e pescando vestiario dall’armadio di lei si progredisca spediti verso una società più evoluta dove gli individui sono considerati tutti liberi e uguali e di fatto lo sono? Chi lo avrebbe detto che dopo sessant’anni dalle battaglie delle femministe per il legittimo utilizzo della minigonna, senza ingerenze da parte di chicchessia, ci saremmo ritrovati di nuovo qui a combattere per l’uso della minigonna da parte dei maschi come simbolo di parità tra lui e lei?

Gli uomini rivendicano il diritto di vestirsi come diavolo gli garba, prescindendo dalle loro tendenze sessuali, essi pretendono di adottare, quando e ovunque gli pare, quell’abbigliamento che fino ad ieri li stuzzicava o gli faceva girare la testa. Ora desiderano non tanto possedere colei che indossa la gonna quanto possedere quella gonna, ovvero mettersela addosso. È probabile che l’uomo, sentendosi spodestato in quegli ambiti che una volta erano prettamente maschili, voglia affermare se stesso, ma lo sta facendo nella maniera più stupida possibile: trasformandosi in femmina, copiandone costumi e ossessioni. Maschi e femmine hanno creduto che la parità dei sessi si raggiungesse ricalcando gli uni il peggio degli altri. Il risultato? Confusione generale e affermazione del cosiddetto “terzo genere”, una roba che ancora non abbiamo compreso cosa diamine sia. Sarebbe il caso di trasferire il dibattito su un piano più elevato, quello che non ha a che fare con gli slip e la crema depilatoria, bensì con le opportunità e i diritti delle persone.

Quanto alla gonna addosso agli uomini, se la sua funzione è davvero il perseguimento della libertà di espressione, come si proclama, allora ci sia consentito osservare che non solo essa è ridicola, ma per di più ci ripugna.

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