Non pasteggiano ad ostriche e Champagne i piccioni che abitano il cuore delle nostre città. Si accontentano delle piccole mollichine accidentalmente cadute sull’asfalto o sul marmo, resti di brioche, di biscotti, di panini, addentati per strada o nei bar all’aperto da chiassosi turisti, famelici ragazzini, commessi, avvocati e manager in pausa-pranzo, in un andirivieni frenetico di esistenze che si intersecano milioni di volte al giorno, ognuna correndo sui binari della propria direttrice. Poco più in basso, proprio laggiù, sul cemento, c’è anche la povera gente, quella che non possedendo nulla è disposta a dare tutto. Sono i clochard che dividono il tozzo di pane con i pennuti che gli ronzano intorno e che, speranzosi di beccare qualcosa, si raccolgono a frotte intorno al senzatetto che tende loro la mano.

Sono scene che non si vedono più. I nostri centri urbani, grandi e piccoli, sembrano città fantasma, suggestive, imponenti, solenni, ma pure spaventose. Lugubri e magnifiche. Dove si è nascosta quella cascata di vita che prima li riempiva in ogni anfratto, pure il più buio? Domina il silenzio. Ed in mezzo a questo gigantesco nulla se ne stanno alla deriva i piccioni.

È un altro giorno a stomaco vuoto. A boccuccia asciutta. E ne seguiranno molti altri. Eppure loro non lo sanno. Al primo barlume di alba si svegliano nel loro nido e dai tetti o dalle vette degli alberi che solitari si stagliano tra i sontuosi palazzi storici precipitano dolcemente sulle vie sgombre per aspettare bambini, mamme, babbi, signore e signori. I loro amici. Neanche oggi giungeranno. Eppure i volatili passeggiano impettiti, dando di tanto in tanto un’occhiata qua e là. Niente di niente.

E nessuno che si chieda cosa ne sarà di loro adesso che sono condannati ad attraversare un periodo di carestia, mentre noi attraversiamo un periodo di epidemia. Perché i piccioni, invero, non li notiamo neanche quando ci camminano tra le gambe. Sembrano invadenti, invece sono discreti. Addirittura rispettosi. Cedono il passo. Eleganti, sebbene panciuti e golosi. Altro che animaletti rozzi e volgari, che nulla avrebbero a che fare con i loro nobili fratelli, le bianche colombe, simbolo di pace.

Le arterie pulsanti di Milano, così come Piazza del Duomo, sono gremite di uccelli urbanizzati che oggi affollano enormi marciapiedi incredibilmente vacanti. Formano fitti assembramenti, agli esseri umani per ora vietati. Rincorrono un pezzetto di pane, finito lì chissà come, lo beccano a turno, rincorrendolo, mentre esso rimbalza da una parte all’altra della via. In pochi nel gruppo riescono ad inghiottire un boccone, tuttavia non diventano aggressivi l’uno con l’altro. Sono rassegnati. Se la caveranno in qualche modo o moriranno di fame?

Si stima che ogni colombo selvatico necessiti di circa 30 grammi di cibo secco e di 60-90 grammi di acqua al dì. Almeno l’80% di questi consumi nei centri storici è garantita dalla presenza delle persone, le quali involontariamente foraggiano i pennuti. Ciò significa che a Roma, Milano, Venezia, Torino, Firenze e in ogni altra città d’Italia i piccioni sono rimasti quasi del tutto senza viveri. E non possono recarsi al supermercato per acquistare i beni di prima necessità.

Se la passano meglio nutrie e cigni. La quiete che ha avvolto la metropoli si percepisce da lontano ed induce queste bestiole a spingersi fino alle porte dell’urbe. E pure più in fondo. Nella darsena milanese sono state avvistate corpulenti nutrie in visita dalle campagne. Avranno saputo che questo è il periodo migliore per viaggiare. Almeno per loro. “Cosa diavolo è successo? Cos’è questa insolita pace? Andiamo a dare un’occhiata”, deve avere invece pensato quel bellissimo cigno filmato sul letto del naviglio a Milano. Scivola soave sulla superficie immobile dell’acqua sui cui si riverberano le luci dei lampioni, muovendo l’esile collo una volta a destra e una volta sinistra. Candido. Puro. Incontaminato.

Macchiolina bianca in questo nero intenso nel quale ci troviamo.

Articolo pubblicato su Libero il 18 marzo del 2020

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