Siamo caduti in un enorme equivoco: la convinzione che la femminilità risieda in qualcosa di posticcio da aggiungere al corpo della donna. Tacchi vertiginosi, extension per i capelli, ciglia finte, protesi per i glutei, o per il seno, il gentil sesso oggi non rinuncia a tali artifici, senza i quali ci si sente monche, incomplete, persino brutte.

Eppure icona per eccellenza della grazia è stata e continua ad essere una ragazza piatta, che settant’anni fa indossava quasi sempre scarpe rasoterra e non amava scoprirsi troppo, risultando tuttavia straordinariamente sensuale. Si tratta dell’attrice Audrey Hepburn.

Quindi, il dubbio sorge spontaneo: siamo sicure che ci servano le protesi per essere donne?

Quasi tutte le mie amiche e conoscenti sono passate dalle mani foderate di lattice di prestigiosi chirurghi plastici che ne hanno ingigantito i seni in maniera esorbitante. Eppure sembra che il risultato non sia mai soddisfacente: le tette non sono mai abbastanza grandi, così ci si rifà, ancora, più e più volte.

“Da quando ho fatto la mastoplastica mi sento donna”, me lo sarò sentito ripetere milioni di volte, cercando sempre di capire come possano due palle di silicone conferire ad una persona qualcosa che già possiede o che non avrà mai: la femminilità, appunto. Comprarla è impossibile. È un dono innato, che qualche volta riscontro persino negli uomini omosessuali e non nelle signore.

Essa si manifesta in un modo di incedere, di porsi verso gli altri, di essere, di parlare, di sorridere, di comportarsi, in un certo buon gusto, nell’eleganza dei modi e del vestire, da non confondersi con l’andare in giro firmate dalla testa i piedi, perché chi è dotato di senso estetico sa scegliere senza farsi condizionare dal brand.

E proprio questa è la summa dell’essere femmina, che non dipende dal portafoglio: possedere carattere e personalità, il che non ha nulla a che vedere con l’aggressività o l’esuberanza, avere rispetto della propria dignità, elementi questi che non si acquisiscono nel momento in cui ci si risveglia dall’anestesia totale con un seno nuovo di zecca. Magari fosse così semplice: avremmo così un mondo carico di bellezza, invece per ora appare solo stracolmo di plastica.

Le donne senza protesi stanno diventando molto più rare delle bionde naturali o delle vergini. Sono mosche bianche. Oggigiorno se non ti rifai non sei. Omologarsi è l’imperativo categorico a cui nessuna si sottrae, ecco perché portare la prima o la seconda di reggiseno equivale all’essere delle rivoluzionarie.

“Fattelo anche tu, cosa aspetti?”, esortano le amiche. Inutile spiegare alle amanti della taglia quinta o sesta che ci si sente bene così come si è e che non sopporteremmo di portarci dietro, anzi dentro, qualcosa che non fa parte di noi, una sorta di zavorra, che ci renderebbe insofferenti. E poi perché?

Ci sono fanciulle che, sebbene possa apparire assurdo, si sentono e sono donne anche con le scarpe basse ai piedi, una camicia abbottonata, un reggiseno taglia prima. Esattamente come ci sono altre che, pur avendo montato gli pneumatici anteriori ultimo modello, non comunicheranno mai sensualità e femminilità.

Questa smania di ricorrere al silicone altro non è che un tentativo, più inutile che blando, di recuperare qualcosa che è andata persa nella società contemporanea. L’estremizzazione dei caratteri femminili altro non è che un modo di affermare il femminino sempre più eroso, per tenerlo vivo, o farlo risorgere. Pudore, classe, raffinatezza, gentilezza, timidezza, decoro mancano. E noi abbiamo deciso di supplire tali valori nella maniera peggiore: continuando ad aggiungere fino a diventare esplosive.

Sarebbe più opportuno togliere, ossia spogliarci e liberarci di ciò che è di troppo. La bellezza non è nell’opulenza, ma nella semplicità. Ed un sorriso sincero è molto più femminile di un seno che, forse essendo costato tanto, viene esposto in modo sfacciato in qualsiasi occasione. Di tettone abbiamo fatto indigestione. Andrebbero messe in mostra solo in camera da letto.

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