Si addormentano e si svegliano sul cemento, si trascinano dietro una valigia che racchiude tutto ciò che possiedono, 4 stracci e qualche sbiadito ricordo, lanciano mollichine ai piccioni per sentirsi meno soli, al mattino si siedono su una panchina o sul bordo del marciapiede e leggono ritagli di giornali trovati qua e là, unico contatto con un mondo del quale fanno parte ma a cui non appartengono. Chi non ha una casa non ha neanche una meta e chi non ha una meta non ha uno scopo, quindi i senzatetto vagano o restano fermi tutto il giorno in un tempo dilatato e insopportabile. Sono vite sospese nel nulla.

Ne osserviamo tanti ogni dì, a poche ore dall’alba, nel cuore di Milano. Hanno i capelli grigi ed il viso segnato da crucci e afflizioni. Che tipo di società è quella in cui signori di 60, 70 e più anni si destano all’addiaccio anziché in una confortevole camera da letto? E siamo ancora in tempi di pandemia. Eppure essi sono all’aperto 24 ore su 24, esposti ad intemperie e bacilli, senza alcuna possibilità di lavarsi, di poggiare le membra su un materasso comodo, di fare un pasto caldo, di indossare biancheria pulita.

Tra i 55 mila clochard italiani sono numerosi non soltanto i giovani ma pure i vecchi. Per effetto della crisi determinata dal coma indotto del sistema economico, volto a contenere la diffusione del virus, la quantità di persone senza casa è in drammatica espansione. E si stima che, non appena a fine giugno sarà possibile eseguire gli sfratti che da marzo sono congelati, molte famiglie finiranno sulla strada, ad esse si aggiungeranno quelle che nei mesi successivi perderanno il lavoro. Se un individuo in verde età può ancora sperare in un domani migliore nonché di lasciarsi alle spalle l’esperienza della esistenza sul marciapiede, per coloro che sono oramai canuti e acciaccati non sussiste alcuna prospettiva di rivalsa e di riscatto. La morte li coglierà lì, sull’asfalto, in un angolo buio della metropoli, nell’indifferenza dei passanti, i quali ormai neanche fanno più caso ai barboni, che sembrano comporre l’arredo urbano al pari dei cassonetti dell’immondizia.

Il governo è così occupato a tutelare i diritti dei forestieri che si è dimenticato di chi è qui, ora, e ha estremo bisogno di aiuto. Dopo avere imposto la regolarizzazione dei clandestini, il ministro dell’Agricoltura Teresa Bellanova, di Italia Viva, si ripromette di agire perché venga inserito nella Costituzione il diritto al cibo. In realtà, la nostra Carta, richiamando i principi sanciti nella Dichiarazione Universale dei diritti dell’uomo, già riconosce il diritto fondamentale di ogni individuo ad un livello di vita adeguato che includa alimentazione, vestiario ed alloggio. Insomma, i diritti esistono ma non basta enunciarli per iscritto perché vengano garantiti. Per quale ragione i nostri ministri si battono per gli extracomunitari, affinché giungano in Italia a frotte, e non sposano la causa dei più deboli tra i cittadini italiani, ossia quelli che non possiedono nulla, nemmeno un tetto? Quando vedremo un politico commuoversi per essere riuscito a vincere una battaglia che ci riguarda?

Ma la domanda è soprattutto una: può dirsi “civile” un Paese in cui migliaia e migliaia di anziani campano ai margini della via in attesa di crepare? I senza fissa dimora invecchiano precocemente, i segni del decadimento fisico si manifestano 15 o addirittura 20 anni prima rispetto al resto della popolazione. Non si tratta di rughe, che sono sopportabili, tanto più a chi non dispone di uno specchio e ha lo stomaco vuoto, bensì di patologie, alcune alquanto gravi, come problemi cardiaci e cognitivi, diabete, ipertensione, demenza.

Gli emarginati inoltre sono più esposti alle malattie infettive, come Hiv, tubercolosi, epatiti, e alle infezioni, nonché alle cadute, agli incidenti, alle violenze, al rischio di omicidio e altresì di suicidio, alla depressione. Se venisse data loro la possibilità di godere di un rifugio, le loro condizioni di salute ne gioverebbero, come hanno dimostrato in questi anni diverse indagini, e ciò inciderebbe positivamente pure sulla spesa sanitaria. Tuttavia, dubitiamo che i nostri governanti abbiano intenzione di farsi carico di questa tragedia umana e sociale che si consuma quotidianamente sotto milioni di sguardi indifferenti.

Articolo pubblicato su Libero del 21 maggio 2020

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