Ogni evento traumatico ci segna e in qualche modo ci cambia. Ecco perché dopo questo coma mondiale indotto dalla necessità di arginare la diffusione del coronavirus non soltanto le nostre abitudini ma anche le nostre priorità risulteranno stravolte. A trasformarsi sarà in particolare il rapporto che intercorre tra noi e il denaro: eviteremo con maggiore attenzione di sprecarlo.

Da un lato, abbiamo la compressione dell’offerta, tanto che molti negozi di vario genere e ristoranti non riusciranno a riavviare l’attività arrestata di colpo. Per non parlare di quei settori che sono stati completamente spazzati via, almeno per il momento, basti pensare a quello alberghiero e del turismo in generale. Dall’altro, abbiamo la torchiatura della domanda, sia perché tanti cittadini non hanno più risorse a disposizione a causa della crisi economica conseguente alla paralisi del sistema che ha determinato altresì disoccupazione dilagante sia perché tantissimi altri, pur potendolo fare, non saranno più propensi a spendere come prima.

Viene chiamata “iperopia”, ossia sindrome da risparmio, la riluttanza ossessiva a limitare le spese allo stretto necessario al fine di non intaccare le proprie riserve finanziarie, obiettivo fondamentale dei risparmiatori compulsivi. Questi sono restii a vivere il presente per il timore di non avere soldi a sufficienza nel futuro, il quale potrebbe riservare eventi catastrofici o spiacevoli, povertà e tracolli finanziari. Infatti, non è un caso che codesta sindrome si manifesti in maniera esplosiva nell’immediatezza di ogni crisi economica di vasta portata, come quella del 2008, le cui ripercussioni si fanno ancora sentire. Ed economisti di tutto il globo avvertono che in tanti potremo presto cominciare a soffrire di iperopia.

Insomma, se fino a febbraio scorso non ci facevamo tanti problemi ad aprire il portafoglio, anche solo per toglierci uno sfizio, oggi siamo quasi tutti più oculati nel manovrare ciò che abbiamo in tasca. Abbiamo visto che la nostra quotidianità può modificarsi da un giorno all’altro e che quella linea retta che rappresentava lo scorrere agevole e sicuro delle nostre esistenze può interrompersi bruscamente per effetto di un’incognita, proveniente da lontano, piombataci addosso all’improvviso.

Tireranno un sospiro di sollievo coloro che erano affetti da dipendenza da shopping. Probabile che non avvertano più l’urgenza di appagare il loro spirito comprando oggetti di qualsiasi tipo. Sarà una buona occasione per rimpinguare il conto in banca, certo. Ma tutto questo poco giova all’economia, il cui stato di salute è correlato al sussistere di un clima di fiducia e di generale ottimismo che incentiva la gente ad acquistare e non a gonfiare il più possibile il proprio materasso di bigliettoni.

Ad incidere negativamente sulla contrazione dei consumi, una volta che le rivendite potranno sollevare le saracinesche, sarà pure l’obbligo di stare in fila aspettando pazienti il proprio turno per potere accedere all’esercizio commerciale. Eravamo avvezzi a recarci a fare compere in centro città in compagnia o in solitudine soprattutto nella fine settimana, passeggiando tra un negozio e l’altro, e questo costituiva un passatempo rilassante e divertente, il quale da domani avrà perso tali peculiarità. Sostare per decine di minuti di fronte ad una boutique spegne il desiderio di entrarvi.

A ciò si aggiungano la paura nel provare capi che sono stati manipolati da altri avventori, sebbene verranno sanificati, e lo spettacolo di guanti e mascherine intorno a noi, che ci ricorderanno la quarantena appena trascorsa chiusi in casa con addosso tute e pigiama. Ci domanderemo se sarà ancora il caso di impiegare centinaia di euro per appendere nell’armadio un abito che forse indosseremo al massimo per ritirare cibo d’asporto. I party restano un miraggio.

I nostri nonni, i quali avevano vissuto il trauma e le ristrettezze della guerra, risparmiando hanno messo da parte capitali, poi dilapidati da figli o nipoti con le mani bucate, cresciuti nella bambagia. Tra l’essere pidocchiosi e l’essere spendaccioni esiste un giusto mezzo, che dovremmo perseguire, facendo in modo che l’epidemia non ci segni ma ci insegni. Quindi, che non ci renda tirchi né maniaci dell’accantonamento, bensì parsimoniosi, cioè portati a spendere con saggezza, evitando da una parte il superfluo e dall’altra di privarci di quei piccoli indispensabili piaceri o capricci che rendono la vita più allegra e interessante.

Articolo pubblicato su Libero il 5 maggio del 2020

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