Euroscettico oltranzista, accanito sostenitore della Brexit, tanto sfacciato da risultare indisponente, Boris Johnson, ex sindaco conservatore di Londra per due mandati (dal 2008 al 2018) nonché ex ministro degli Esteri, dal 24 luglio capo dei Tory e premier britannico, è l’incarnazione di tutto ciò che i bulletti progressisti dell’intero pianeta disprezzano. Storcono il naso davanti al suo taglio di capelli, considerano rozzi i suoi modi di fare, folli e vergognose le sue sparate, ridacchiano non appena ne scorgono l’immagine, eppure Boris non è mica il signor Cretinetti.
Nel 2016, per motivi di correttezza politica, il politicamente scorretto Johnson ha rinunciato alla cittadinanza americana, di cui era in possesso essendo nato a New York 55 anni orsono. Il leader inglese proviene da un’ottima famiglia, ha frequentato i college più esclusivi ed è cresciuto circondato dagli agi, cosa che da un lato non lo ha risparmiato dai dolori e dall’altro non gli ha impedito di studiare e lavorare sodo. Il padre Stanley è stato politico e altresì scrittore, lavorava prima per la Banca mondiale e poi come funzionario della Commissione europea, quell’Europa che suo figlio oggi promette di abbandonare entro il 31 ottobre; la sua sorella prediletta, Rachel, invece è giornalista.
La madre, Charlotte, la quale visse all’ombra del marito dedicandosi esclusivamente ai quattro figli, si ammalò di depressione e manie ossessivo-compulsive allorché Boris era molto piccolo e a 40 anni le fu diagnosticato il Parkinson. L’allontanamento della mamma da casa per 9 mesi, periodo in cui la signora fu ricoverata per ricevere le cure necessarie, fu un trauma per Boris. E Charlotte riconduce l’ambizione sfrenata del figlio ad un bisogno di sentirsi amato e diventare invincibile. Eppure non sembra affatto che Johnson compia grandi sacrifici nel tentativo di farsi apprezzare – semmai profonde sforzi nell’opera di rimbalzare sulle balle -, forse sul giudizio della mamma pesano i sensi di colpa ed i decenni di terapia psichiatrica, che alla fine inducono alla ricerca di contorte e cervellotiche spiegazioni psicoanalitiche fini a loro stesse.
Viene dipinto quale ignorante e grossolano, eppure, allorché era sindaco di Londra, Johnson reintrodusse lo studio del latino nelle scuole pubbliche, considerandolo fondamentale. Ed egli è anche autore di un saggio dal titolo “Il sogno di Roma. La lezione dell’antichità per capire l’Europa di oggi”. La passione per la civiltà romana, tuttavia, non lo ha reso immune dai colpi che gli hanno inferto in questi giorni sui media gli intellettuali del Bel Paese, i quali giudicano un uomo dalla sua pettinatura.
Boris è stato paragonato a Donald Trump, con il quale ha in comune soltanto tre cose: la capigliatura paglierina (forse anche il parrucchiere), il rigetto nei confronti del “politically correct” ed il fatto che sulla sua ascesa nessuno avrebbe scommesso un soldo. Elementi sufficienti per attirare su di sé il dileggio dei radical-chic. Allorché scriveva sul Telegraph (è pure giornalista), dove curava una rubrica di successo, Johnson aveva definito gli omosessuali “culattoni in canottiera” e gli africani “negretti”. Durante la campagna elettorale dell’aprile del 2005, invece, aveva cercato di convincere gli elettori a votare per il suo partito garantendo: questa scelta “farà diventare più grosse le tette di vostra moglie e aumenterà le vostre chance di possedere una Bmw M3”. Nella stessa occasione ammise senza scomporsi di sostenere David Cameron “per cinico interesse personale”. Viva la sincerità! Facendo la cronaca di una sua visita all’università di Portsmouth aveva vergato: “Eccoci qua in uno dei recessi più depressi dell’Inghilterra meridionale, un posto troppo pieno di droghe, obesità, delusione e deputati laburisti”. Infuriò la polemica. Il nuovo primo ministro inglese non utilizza filtri allorché si tratta di fornire la sua opinione. Nel 2007, pur sostenendone la candidatura alla Casa Bianca, definì l’aspetto di Hillary Clinton simile a quello di “un’infermiera sadica di un manicomio”, mentre George W. Bush, a suo avviso, non era altro che “un texano strabico, guerrafondaio, disarticolato e non eletto”. Nulla in confronto alla definizione usata per descrivere Erdogan: “segaiolo pazzesco”, che non disdegnerebbe il sesso con le capre. Sul perché Boris conosca in modo tanto dettagliato le abitudini private del presidente turco non sappiamo offrirvi ragguagli. La scorsa estate Johnson tuonò contro l’uso diffuso del burqa all’interno delle comunità islamiche insediate nel Regno Unito giudicando “assolutamente ridicolo” che le signore escano di casa abbigliate alla stregua di “rapinatori di banche”. Come dargli torto? Qualche settimana fa, invece, il neo premier se l’è presa con i dirimpettai francesi, chiamati “stronzi” poiché vorrebbero “fregare gli inglesi”. Da uno così, con la lingua direttamente collegata al cervello, aspettiamoci almeno un centinaio di incidenti diplomatici. Insomma, Boris è uno che non le manda a dire, ecco perché o lo ami o lo odi.
Il primo ministro britannico si è sposato due volte, prima nel 1987, poi nel 1993, il che è prova non solo di coraggio ma anche di ottimismo. E ha ben cinque figli, quattro dalla seconda consorte ed uno nato da una relazione extraconiugale con una consulente d’arte. Il rapporto con la sua attuale compagna, Carrie Symonds, sembra essere burrascoso e passionale. Il mese scorso i vicini di casa, sentendo provenire dall’abitazione di Johnson delle urla disumane, hanno allertato la polizia londinese che è intervenuta per sedare una lite tra il politico e la sua morosa, la quale era incazzata nera.
Johnson viene deriso dal mondo intero per le sue gaffe, di cui egli stesso tuttavia ammette di andare fiero, aggiungendo che “molto spesso gli scivoloni finiscono per essere la verità spogliata di abbellimenti”. E noi senza dubbio preferiamo quest’ultima, nuda sporca e cruda, alle menzogne rivestite di fini ricami e graziosi merletti.
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Articolo pubblicato su Libero del 26 luglio 2019